Un recente rapporto Ocse fotografa la condizione sociale del paese e conferma quanto noi sosteniamo sulle giovani generazioni: hanno difficoltà a entrare nel mercato del lavoro e uscire dalla precarietà. Dinanzi a un governo che non risponde ai bisogni del lavoro, disconosce nei fatti il sindacato confederale, la sua rappresentanza sociale e le sue rivendicazioni generali, dobbiamo dare coerente continuità alla mobilitazione unitaria, avviata con difficoltà.
La forza lavoro in Italia è molto più vecchia rispetto ad altri paesi Ocse, e si è bloccato il turn-over. La responsabilità risiede nel mercato del lavoro frantumato e senza diritti, nella pochezza delle scelte politiche ed economiche, nella mancanza di politiche industriali, in imprenditori poco coraggiosi, in una “riforma” Fornero che alimenta lo scontro generazionale e contribuisce ad aumentare il tasso di disoccupazione giovanile. Non è un caso se l’80% delle assunzioni in questo periodo sono a tempo determinato. Dati che indicano una regressione del nostro tessuto produttivo, e una condizione sociale che genera nuove povertà, divisioni e diseguaglianze.
In risposta, questo governo vara una legge di bilancio senza respiro strategico e in continuità con il passato. A parte le ingenti risorse per bloccare l’aumento Iva, siamo ancora dinanzi ai mille rivoli dei bonus dal sapore elettorale, quasi tutti per le imprese, mentre una manciata di risorse vanno al contrasto della povertà, ai giovani, all’occupazione. È un governo che non rispetta neppure gli impegni assunti con le intese in tema previdenziale: lavoro di cura per le donne, pensione di garanzia per i discontinui, aspettativa di vita e lavoro usurante. L’aspettativa di vita non è uguale per tutti, per chi ha livelli di istruzione più bassi e chi fa lavori più pesanti. Scardinare la gabbia dell’aspettativa di vita, cambiando strutturalmente la legge Fornero, rimane tra gli obiettivi strategici della Cgil e della stessa piattaforma unitaria.
La fase e i rapporti di forza sono difficili. Vanno preservati i rapporti unitari senza rinunciare all’iniziativa nei luoghi di lavoro, fra i nostri iscritti, i nostri delegati, per costruire le migliori condizioni per dare continuità nel tempo alla mobilitazione. Le difficoltà sinora incontrate nel coinvolgere i delegati, i lavoratori, i pensionati vanno indagate senza rimozioni, al fine di superarle insieme, confederazione e categorie, con assemblee in tutti i luoghi di lavoro per informare, confrontarsi ed ottenere il coinvolgimento e la disponibilità alla mobilitazione necessaria delle lavoratrici, dei lavoratori e dei pensionati. Non possiamo permetterci gli errori del passato, e di perdere la credibilità riconquistata a fatica in questi anni.
L’audizione di Francesco Greco alla commissione bicamerale di inchiesta sulle banche è arrivata nel momento più indicato, visti gli effetti collaterali del caso Visco, governatore di Bankitalia di fatto sfiduciato da una mozione del Pd. Il procuratore capo di Milano - dove ha sede la Borsa – ha esposto con chiarezza lo stato delle cose. A partire dalla riforma delle autorità di vigilanza: “Bisogna decidere chi deve fare certe cose e chi no, perché c’è anche un accavallamento con la Bce, e c’è una sorta di scaricabarile. Il sistema dei controlli non è del tutto efficiente e chiaro, per districarsi fra le autorità tra poco ci vuole un Tom Tom”. Rispetto alle presunte sottovalutazioni da parte di Bankitalia e Consob delle crisi degli istituti di credito in questi tempestosi anni di crisi finanziaria ed economica, la valutazione di Greco è stata quella che più si avvicina alla verità storica: “Spesso c’è stato un approccio prudente, giustificato dal fatto di volere evitare danni sistemici”. Al tempo stesso è arrivato un monito: “Quando c’è un reato penale è bene avvisare subito la procura: se non lo indichi tu ma lo scopro io, come è successo tante volte, è ancora peggio: si possono creare danni ancora più grossi”.
Morale: “Bisogna avere la capacità di bilanciare un atteggiamento prudente con le necessità di fare chiarezza”. Perché nelle crisi “nessuno è stato esente da responsabilità: c’è stato un peso della politica locale molto pesante che è poi all’origine di tanti problemi che abbiamo visto in questi anni. E poi il credito è saltato a livello locale anche per gli aiuti ad alcune aziende del territorio, per i prestiti elargiti perché quello è amico di tizio”. Con il risultato di avere 172 miliardi di crediti deteriorati netti, di cui un terzo senza reali garanzie.
Sappiamo bene che in Italia la crisi economico-finanziaria, che perdura dal 2008, non è ancora terminata. Diverse aziende importanti del nostro paese, ancora oggi, stanno affrontando grandi e gravi difficoltà. Il combinato disposto tra una competizione sempre più aggressiva, e un mercato nazionale e transnazionale sempre più esigente, compromettono realtà produttive di grande valenza.
La vertenza Melegatti, scoppiata in queste ultime settimane in tutta la sua drammaticità, non rientra in questi parametri, e dimostra invece quanto sia fondamentale costruire ai vertici aziendali un gruppo dirigente competente, responsabile e affidabile.
Melegatti spa è sempre stata un azienda leader del prodotto dolciario. Vanta una storia di 123 anni. Melegatti è conosciuta perché, nel lontano 14 ottobre 1894, il capostipite dottor Domenico Melegatti ha inventato e brevettato il famoso dolce da ricorrenza veronese, il Pandoro. Il marchio Melegatti è famoso in tutto il mondo. Le famiglie Turco e Ronca, proprietarie in quota parte della società, affermano che il loro prodotto è conosciuto più all’estero che in Italia.
Per Verona, e in particolare per il paese di San Giovanni Lupatoto, Melegatti è sempre stata considerata un azienda di grande valore e motivo di orgoglio del territorio. Non c’e cittadino veronese che in famiglia non abbia avuto un lungo o breve rapporto con questa realtà produttiva. Negli anni, la fabbrica Melegatti insieme a quella di Rana, rinomata per i suoi tortellini, è stata un punto di riferimento importante per San Giovanni Lupatoto. In tempo di crisi, ha avuto anche un ruolo di ammortizzatore sociale nell’accogliere al proprio interno lavoratrici e lavoratori espulsi dal mondo del lavoro.
Melegatti è un marchio sano. Un’azienda con grandi potenzialità. Peraltro bisogna considerare che il mercato del dolciario non risente in modo sostanziale della crisi generale. Lo dimostra il fatto che tutti i maggiori competitor, anche locali, sono impegnati in questi mesi per la campagna natalizia, e stanno tutti lavorando alacremente.
Anche Melegatti quest’anno avrebbe avuto soddisfazione della sua fetta di mercato e del suo spazio sugli scaffali della grande distribuzione. I clienti non mancano e gli ordini dei prodotti erano davvero ingenti, oltre le aspettative. Invece a Natale sulle tavole degli italiani e di tutti gli estimatori di questo marchio non sarà presente il famoso pandoro.
Quando parliamo di Melegatti, dobbiamo fare riferimento allo storico stabilimento di S. Giovanni Lupatoto ma anche a quello nuovo di Nuova Marelli, che l’azienda ha appena inaugurato il 5 febbraio scorso. Gli impianti di Nuova Marelli sono impostati solo ed esclusivamente per il prodotto continuativo, le merendine. Un importante investimento per il quale l’azienda aveva già a disposizione un accordo con un partner del calibro del colosso Ferrero. Ma per “mala gestio” l’operazione non è andata a buon fine.
Se mettiamo insieme le “difficoltà imprenditoriali” - un eufemismo - dell’attuale presidente e amministratore delegato, l’avvocato Emanuela Perazzoli, e gli storici e continui litigi tra i soci, famiglia Turco e Ronca, il risultato ha portato oggi l’azienda ad una situazione di grande criticità finanziaria, con le tristi e pesanti conseguenze: i lavoratori non vedono lo stipendio dal mese di agosto, i fornitori delle materie prime (burro, uova, farina, confezioni, trasporti, manutenzione impianti, ecc.) non hanno ricevuto il pagamento delle loro prestazioni e forniture, le banche non finanziano più per la già forte esposizione debitoria con l’azienda, i clienti sono furibondi perché non ricevono la merce ordinata e già pubblicizzata nei loro volantini.
Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil, sono sempre al fianco dei dipendenti Melegatti e Nuova Marelli. Lo stato di agitazione continua con un presidio permanente davanti allo stabilimento di San Giovanni Lupatoto. Intanto anche le istituzioni sono state mobilitate per la causa: dai sindaci dei rispettivi comuni di San Giovanni Lupatoto e San Martino Buon Albergo, al prefetto di Verona, al governo, grazie alla presentazione di un’interrogazione parlamentare sostenuta dall’onorevole Civati. Non si lascerà nulla di intentato. L’Italia e soprattutto la città di Verona non possono rinunciare ad un azienda di questo valore. Melegatti è un azienda da salvare, da salvare bene e da mantenere italiana.
L’ultimo rapporto dell’Ocse fotografa la preoccupante condizione dei giovani nel nostro paese e le grandi incognite che segnano il futuro delle nuove generazioni. I dati riassumono il portato della “violenta precarizzazione del lavoro” e della “frattura generazionale” in tema di previdenza, indotte dall’onda lunga di quelle riforme – intervenute negli anni ‘90 e seguite da molte altre dello stesso segno – come il pacchetto Treu e la legge Dini, alle quali la sinistra sindacale della Cgil si oppose scorgendo, già allora, il tratto divisivo e fortemente penalizzante per i giovani. E’ assolutamente prioritario sostenere le proposte e le iniziative della Cgil del Piano del lavoro e della proposta di un nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, al fine di rilanciare sviluppo e occupazione ed estendere i diritti.
Al contempo occorre interrogarsi sulla profonda crisi del “welfare state” a livello europeo, e su quale idea avere di nuovo stato sociale, guardando a dare risposte concrete alla condizione di difficoltà e di malessere dei giovani. Partendo innanzitutto dalle condizioni di quanti vivono realtà di forte disagio sociale e di esclusione, come il milione e mezzo di bambini ed adolescenti (figli di genitori poveri, spesso disoccupati) che abbandonano la scuola e non riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro: i cosiddetti neet. Facendo poi i conti con fenomeni ancora più ampi, connessi al disagio e alla “frustrazione” giovanile, quali gli eccessi e le dipendenze da droghe ed alcool; l’incontrollata violenza; l’aumento, soprattutto tra gli adolescenti, di patologie importanti quali la bulimia e l’anoressia. Non dimenticando come la patologia del secolo sia rappresentata dall’obesità, fenomeno che esplicita stili di alimentazione e di vita opposti rispetto alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Un tema, quest’ultimo, fortemente correlato a diritti quali l’accesso alla pratica sportiva e all’attività fisica, che dovrebbero rappresentare anche momenti di contrasto all’esclusione causata da indigenza e difficoltà economica, e che invece risultano segnati da condizioni di fruizione disuguali, che negano l’universalità di accesso ad un diritto fondamentale per il benessere psicofisico. Sostenere i ragazzi nel fare sport ha quasi sempre un costo economico, spesso rilevante, che molte famiglie non possono permettersi. Insomma i bambini, gli adolescenti e i giovani di oggi per la prima volta registrano un pauroso arretramento, e rischiano di perdere la speranza in un futuro almeno uguale a quello dei propri genitori e nonni.
Un sindacato generale come la Cgil – soprattutto in presenza di una politica sempre più miope ed autoreferenziale - deve farsi carico di “ricostruire” un futuro per il paese, ad iniziare dal dare risposte e speranza ai giovani. Questo deve essere fatto attraverso un’azione complessiva per il lavoro e per i diritti (da sostenere attraverso il ricorso alla mobilitazione, a partire nell’immediato da un non più rinviabile sciopero generale), e con la definizione di proposte per affermare un nuovo modello di welfare, inclusivo e solidale, capace anche di rispondere ai tanti bisogni dei giovani: oltre il lavoro l’abitare - con grandi difficoltà per disoccupati o precari di uscire dal nucleo familiare originario e di accedere a mutui - e la possibilità di vivere in un paese che investa per l’affermazione piena della legalità, per l’istruzione, la formazione e la ricerca.
Occorre elaborare proposte compiute e farle vivere nel confronto con il governo e con le istituzioni territoriali, agendo la “contrattazione sociale decentrata” che può e deve essere riorientata su temi che riguardano specificatamente anche i giovani. Questo è possibile, facendo ancora leva sulla generosità dei compagni e delle compagne dello Spi (rappresentanti di quegli anziani e pensionati che sovente svolgono il ruolo di “ammortizzatore sociale” nei confronti dei giovani), e rafforzando un’iniziativa che controbatta efficacemente i tentativi, portati avanti spesso dalla politica e dai media, di agire fuorvianti e strumentali “contrapposizioni generazionali”.
E’ necessario che l’insieme dell’organizzazione – in particolare nei livelli regionali e nelle Camere del lavoro – si faccia carico di questa importante “sfida”, attraverso un nuovo protagonismo di tutte le categorie, dei compagni dei servizi e delle associazioni della Cgil; agendo una contrattazione sociale territoriale basata non su “bisogni supposti”, bensì sul protagonismo dei soggetti interessati che, nel caso della condizione e della soddisfazione dei bisogni dei giovani, significa innanzitutto partire dal coinvolgimento delle organizzazioni degli studenti.