E’ evidente il carattere di strumentalità e propaganda politica del referendum regionale del 22 ottobre. Rischiando inoltre di indebolire ancora lo strumento referendario. 

In questi giorni il tema delle autonomie locali e regionali è di grande attualità, sicuramente più per le vicende spagnole che per l’attenzione che stanno suscitando i referendum indetti dalle Regioni Lombardia e Veneto per il 22 ottobre. Peraltro il confronto su temi oggetto di forme e condizioni particolari di autonomia, previsti dall’articolo 117 della Costituzione, non richiedeva un referendum, comunque a carattere puramente consultivo, che però costerà ai cittadini lombardi oltre 50 milioni di euro. Nel caso specifico della Regione Lombardia infine il quesito è assolutamente generico, rimandando ad una successiva trattativa da avviare con il governo.

Come Cgil Lombardia e Veneto abbiamo avviato una riflessione sia sui referendum oggetto della consultazione sia sui temi più generali delle autonomie locali, valutazione poi condivisa con l’intera organizzazione fino all’ordine del giorno del direttivo nazionale Cgil, che prova a mettere ordine ai tanti aspetti della questione, a cui rimando per approfondimenti.

Qui vorrei porre l’attenzione sulla consultazione lombarda, anche attraverso le delibere della giunta. Anzitutto, ai vari livelli, abbiamo sempre evidenziato il carattere di inutilità di queste consultazioni, e il carattere di strumentalità e propaganda politica, com’è evidente dai contenuti della delibera. Questo rischia di indebolire ulteriormente lo strumento referendario, che dovrebbe rimanere esercizio democratico consapevole e informato a disposizione dei cittadini.

Nello specifico, la delibera lombarda “X 1531” del 13 giugno 2017 traccia un quadro molto schematico e semplificato, a differenza di quanto non faccia la Regione Veneto che articola valutazioni su vari possibili temi di ulteriore autonomia previsti dall’articolo 117della Costituzione. Pensare che Regione Lombardia sia uno dei quattro motori d’Europa senza valutare il contesto nazionale complessivo nel quale opera, e le migrazioni di lavoratori e aziende verso il territorio, che operano e producono profitto per sede legale e non solo per competenza territoriale, è una semplificazione di una questione economica molto complessa, anche in contraddizione con la richiesta di mantenere l’unità nazionale, come annunciato nella stessa delibera.

Tralasciamo le modalità politicamente scorrette di attacco al governo accusato di scarsa credibilità, lo stesso con il quale si dovrebbe avviare un confronto, oppure proclamare quanto sia “grande il popolo lombardo”. Il quesito, pur nella sua genericità, se letto in combinazione con i contenuti della delibera, delinea un modello di autonomia “economica” e di mantenimento “sul territorio delle risorse che qui sono state generate”, che potrebbe essere in contrasto con i principi di unità nazionale. In particolare, anche la Regione Lombardia dovrebbe essere chiamata a svolgere un ruolo di equilibrio fra i differenti livelli istituzionali nell’esercizio delle competenze legislative, amministrative, a garanzia dell’unità giuridica, economica e sociale della nazione.

La domanda è: il quesito è davvero generico - cosa comunque non corretta e con conseguenze nel rapporto fra istituzioni e cittadini - o traccia un modello sul quale è necessario fare approfondimenti concordati con tutti i soggetti potenzialmente coinvolti, ma che, nella visione prospettata dalla delibera, non è condivisibile? Ai cittadini la risposta.

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