L’abrogazione dei voucher e il ripristino della responsabilità solidale negli appalti sono una prima, significativa vittoria della Cgil, dell’impegno militante delle donne e degli uomini della nostra organizzazione, dei pensionati, dei delegati. Una vittoria di chi ci ha dato fiducia firmando per i tre referendum e per la Carta dei diritti.
Ora abbiamo dinanzi tre appuntamenti significativi legati da un filo rosso. Il 25 Aprile e il Primo Maggio rappresentano i valori della libertà, della democrazia e dei diritti sociali e politici conquistati con la Resistenza e la lotta partigiana contro il nazifascismo e dal movimento internazionale dei lavoratori. Come sempre saremo in piazza in difesa della pace, della Costituzione, dei diritti e delle conquiste sociali. Poi, sabato 6 maggio, la manifestazione nazionale nella periferia romana, piazza San Giovanni Bosco, per dire che continua la sfida strategica della Cgil per riscrivere il diritto al lavoro e “costruire tutta un’altra Italia”.
Rivendichiamo questa vittoria senza trionfalismo, consapevoli dei gravi problemi del paese ma orgogliosi per un successo non scontato, che ha creato migliori condizioni per continuare la battaglia di valore generale contro precarietà, sfruttamento, diseguaglianze, lavoro nero. E contro le nuove schiavitù, lo sfruttamento selvaggio dei migranti nel settore agricolo da parte della criminalità e di padroncini, con la complicità di troppe istituzioni territoriali. Per non parlare di un governo che interviene con decreti repressivi sull’immigrazione ma non contro il caporalato e i ghetti in cui sopravvivono migliaia di migranti.
La scelta dello strumento referendario, pur inusuale, si è dimostrata giusta e determinante. Abbiamo parlato al paese e imposto alla politica la centralità del lavoro e della sua condizione. Abbiamo sostenuto la “Carta dei diritti universali del lavoro”, nostro obiettivo strategico da conquistare, imponendo al governo di intervenire per non rischiare il voto referendario, dopo quanto avvenuto il 4 dicembre sulla controriforma istituzionale.
La Cgil ha aperto una fase nuova, non difensiva, e si è imposta come autonomo soggetto politico di rappresentanza sociale. Questa ricca stagione di mobilitazione e proposta non è una parentesi nella nostra storia – anche su questo ci confronteremo al congresso - ma la coerente continuità nel nuovo contesto sociale e politico.
La radicalità dello scontro tra capitale e lavoro, i cambiamenti globali nella società e nel lavoro ci impongono di sperimentare con coraggio strade inedite, senza disconoscere il nostro patrimonio di esperienza e di responsabilità, di rinnovare la nostra identità con senso di appartenenza e lo sguardo rivolto al futuro.
Un lucido intervento sulle colonne del quotidiano “il manifesto” segnala che il 2017 per l’Unione europea è un anno fondamentale, non soltanto per le elezioni politiche che interessano Francia, Germania e la stessa Inghilterra post Brexit.
In parallelo alla chiamata alle urne, dopo cinque anni è in programma la valutazione del Fiscal compact, ad opera dell’Ecofin che sta lavorando per la revisione dei criteri di base ai quali è fissato il valore del deficit strutturale, e anche sul cosiddetto Pil potenziale. Le conclusioni sono esplicite: “Se l’Ecofin conferma l’inidoneità dei criteri sottostanti il Fiscal compact, cade proprio il Fiscal compact come lo abbiamo conosciuto”. Sarebbe una buona notizia.
Ma il problema è che il Documento di economia e finanza presentato dal governo Gentiloni la dà per scontata o quasi, rinunciando così a qualsiasi strategia di azione espansiva tesa ad aiutare la crescita economica. “La manovra finanziaria – tira le somme Susanna Camusso a nome della Cgil - appare molto modesta e sbilanciata, oltre che recessiva”. Infatti la programmazione di un tasso di disoccupazione pari al 11,5% nel 2017, e mai sotto il 10% fino al 2020, va in parallelo a un tasso di occupazione che, negli obiettivi del governo, non arriva mai al 60%. Di più: si programma una ulteriore riduzione dei salari reali, nonostante la “moral suasion” dello stesso Mario Draghi che, in ambito europeo, ha avvertito di come, senza aumentare le retribuzioni, non si possa scongiurare il rischio di una deflazione che è ben lontana dall’essere sconfitta. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: il governo Gentiloni-Padoan non cambia verso rispetto al governo Renzi-Padoan.
Questo 25 Aprile deve essere, per una molteplicità di ragioni, un momento di festa e insieme di riflessione e di rinnovato impegno per affermare quei valori di libertà, pace, democrazia, accoglienza, solidarietà, giustizia, uguaglianza ed equità che sono stati alla base della lotta partigiana.
La Festa della Liberazione quest’anno interviene dopo il referendum del 4 dicembre, nel quale il popolo sovrano ha bocciato una riforma sbagliata, pasticciata e tesa alla menomazione di principi democratici fondamentali fissati dalla Costituzione italiana, nata dalla Resistenza, dalla lotta di liberazione contro i fascisti e i nazisti.
Dopo questo straordinario e per nulla scontato risultato, per il quale come Anpi ci siamo battuti con forza e determinazione, occorre affrontare i nodi e i problemi concreti connessi all’unico reale limite della nostra Costituzione, che risiede nel fatto - dopo 71 anni dalla sua promulgazione – di essere largamente non applicata, disattesa, tradita; a partire dall’articolo 1 con il quale i padri costituenti intesero fondare la Repubblica italiana sul lavoro.
Disse Piero Calamandrei, spiegando i contenuti e lo spirito degli articoli 1 e 3: “E’ compito della Repubblica... dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo... corrisponderà alla realtà”.
Purtroppo siamo molto lontani da tutto questo e anzi, negli ultimi decenni – a causa dell’affermazione di politiche e culture liberiste – abbiamo registrato un’enorme divaricazione tra i principi e i valori costituzionali e una realtà sempre più caratterizzata dal lavoro ridotto a merce, da una disoccupazione crescente, diseguaglianze insopportabili, aumento della povertà, venir meno di politiche volte all’inclusione, all’accoglienza, all’integrazione.
Sempre Calamandrei spiegava che la nostra Costituzione è solo in parte una realtà, ma è soprattutto “un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere”. Io aggiungerei che è un obiettivo da realizzare attraverso la partecipazione, le lotte, le mobilitazioni, l’impegno e la militanza. Da questo punto di vista, come iscritta allo Spi Cgil e come dirigente dell’Anpi, condivido e sostengo la straordinaria iniziativa della Cgil, finalizzata a ridare centralità e dignità al lavoro, attraverso la raccolta di milioni di firme per indire referendum (abrogativi di norme insopportabili con le quali si mercifica il lavoro), e per promuovere una legge di iniziativa popolare istitutiva di un nuovo e migliorativo “Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori”. Una battaglia di civiltà volta alla riaffermazione di basilari principi e valori sanciti dalla nostra Costituzione.
Sarà una battaglia lunga e difficile, perché dopo i primi positivi risultati (l’abolizione dei voucher e la reintroduzione della responsabilità solidale negli appalti) occorrerà ricorrere ad una lunga e tenace mobilitazione, affinché non venga fatto rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta e, soprattutto, bisognerà ricostruire una reale e concreta coscienza di classe, come base imprescindibile per lotte capaci di riconquistare e riaffermare quei diritti contenuti nella “Carta universale” proposta dalla Cgil.
Voglio sommessamente ricordare come lo Statuto dei Lavoratori, la Legge 300 del 1970, è figlio delle grandi e straordinarie lotte operaie della fine degli anni ‘60. La storia, in generale, dimostra come i diritti non sono mai stati regalati. I lavoratori li hanno sempre ottenuti e difesi con le lotte.
Sappiamo tutti che, in particolare oggi, in una società sempre più permeata da individualismi, particolarismi, guerre tra poveri che vedono spesso i penultimi contro gli ultimi, è difficile rideterminare le condizioni per un conflitto di natura generale, teso alla riaffermazione dei diritti universali del lavoro. Ma questo dobbiamo fare, non c’è altra strada.
Spesso, come ho avuto modo di dire in molte circostanze, nel corso della mia vita – legata alla militanza politica, alla lotta contro i fascisti ed i nazisti, per la libertà e la democrazia, per una società ed un mondo migliori – ho rimbrottato e continuo a rimbrottare compagne e compagni che, in ragione di difficoltà e problemi, si lasciano andare verso la rassegnazione. Ho sempre detto loro, utilizzando una celebre frase, che non è importante se si cade e come si cade, ma quello che conta è la forza di rialzarsi, come ci rialza, e per fare cosa una volta che si è in piedi.
Il movimento operaio, la sinistra, le forze progressiste sono vittime – in ragione di quanto accaduto negli ultimi decenni – di una brutta caduta collettiva, dalla quale però dobbiamo trarre i dovuti insegnamenti per rimetterci di nuovo in piedi e in marcia, tutti insieme. Magari superando quella brutta e attualmente imperante cultura dell’ “io”, per tornare a quel “noi” senza il quale non sarebbe stata scritta quella straordinaria pagina della storia italiana nota come Resistenza.
Era il “noi” che mi diede la forza ed il coraggio, fin da bambina, per compiere atti di ribellione antifascisti, che mi sorresse quando dopo l’8 settembre 1943 diventai staffetta partigiana, attraversando in bicicletta la linea gotica per rifornire i partigiani che operavano nei territori occupati dai nazisti. Un “noi” che mi ha consentito di andare avanti, rischiando la vita e vedendo compagni morire, uccisi vigliaccamente dai fascisti e dai nazisti. Un “noi” che dobbiamo recuperare e rimettere a valore, nell’oggi, per realizzare gli obiettivi contenuti nella nostra Costituzione, per lasciare un futuro migliore alle nuove generazioni.
“Noi” che dobbiamo mobilitarci, in una fase particolarmente complessa e pericolosa, dove aleggiano inediti e orribili venti guerra, dilaganti populismi e culture razziste, per la pace, per l’accoglienza, l’integrazione. “Noi” che manifestiamo nelle strade e nelle piazze il 25 aprile, per festeggiare la liberazione e per difendere la democrazia, donne e uomini, anziani e giovani, ricordando che senza memoria non c’è futuro.
Abrogazione dei voucher e ripristino della responsabilità solidale negli appalti: erano questi i due quesiti referendari, insieme alla presentazione della Carta dei diritti universali del lavoro, per i quali la Cgil nel 2016 ha raccolto 4,5 milioni di firme. Il 17 marzo, dopo la comunicazione del 28 maggio come giorno della consultazione, il governo ha varato un decreto per abrogare i buoni lavoro e per ripristinare la responsabilità solidale negli appalti. Un decreto definitivamente convertito in legge il 19 aprile.
La crisi e le modifiche legislative al mercato del lavoro degli ultimi anni si sono riversate sulle condizioni dei lavoratori, sempre più fragili ed economicamente precari, fino ad arrivare al governo Monti con la legge Fornero prima e al jobs act di Renzi poi.
La Cgil ha avuto il merito di riportare al centro dell’attenzione mediatica il tema del lavoro, seppur con tutte le critiche e le posizioni contrarie. In particolare la proposta di abolizione dei voucher ha creato un dibattito acceso, a tratti molto superficiale. Uno strumento nato con l’intento di far emergere il lavoro nero ha avuto risultati completamenti diversi, checché ne dicano i sostenitori. Dopo la liberalizzazione dell’uso a più settori e l’aumento del tetto massimo, i voucher hanno avuto un’esplosione significativa negli ultimi tre anni: siamo arrivati a 140 milioni nel 2016.
Non è successo, come dicono i fautori, facendo diminuire il lavoro nero, ma legalizzando una modalità per pagare meno il lavoro, destituendo le forme contrattuali strutturate. Inoltre l’utilizzo del buono lavoro - come sappiamo bene nei servizi di cura e nel turismo - ha nascosto spesso lavoro irregolare o grigio: il pagamento di qualche ora con i voucher è stato l’alibi per le aziende, che al contempo hanno continuato a utilizzare lavoratori in nero per le restanti ore.
L’abolizione dei voucher non porterà il ritorno del lavoro nero, come sostenuto dai nostri antagonisti, dato che non è mai scomparso; ma sarà indispensabile, nel più breve tempo possibile, regolare il lavoro subordinato occasionale. Nella proposta di legge sulla Carta dei diritti universali, agli articoli 80 e 81 la Cgil ha indicato un’alternativa precisa. La Carta dei diritti è stata incardinata nell’agenda della commissione lavoro della Camera, e questo, ulteriore risultato della nostra iniziativa rappresenta la vera sfida per ricostruire il diritto del lavoro nel nostro paese.
Il secondo quesito referendario, inizialmente messo in ombra, anche mediatica, era per la Filcams un tema importante. Il ripristino della responsabilità solidale negli appalti richiama all’attenzione e alla trasparenza le aziende che fanno parte del sistema, difendendo le lavoratrici e i lavoratori che subiscono le differenze di trattamento nelle garanzie basilari tra chi lavora nelle aziende committenti e nelle aziende appaltatrici e sub appaltatrici.
Per un ente pubblico, come per il privato, affidare all’esterno la prestazione di beni e servizi non può tradursi in de-responsabilizzazione e abbattimento dei costi. Quella scelta di ricorso all’appalto deve garantire la certezza e la qualità agli utenti finali. Ciò non può avvenire se non si riconoscono diritti e tutele ai lavoratori che operano in quegli appalti.
Anche su questo tema si è aperta una forte contrapposizione nella politica e con le associazioni di rappresentanza. Il ripristino della responsabilità in solido, insieme a altri temi ancora in discussione nel nuovo Codice degli appalti, è considerata una delle tante regole che metterà un limite alla concorrenza e alla capacità di sviluppo e investimento delle imprese. Come dire che nel nostro paese tutto ciò che costituisce un sistema di regole per operare e concorrere nel mercato, con trasparenza, legalità e responsabilità, è per definizione insostenibile; mentre la violazioni dei diritti, il sottocosto, la divisione e l’incertezza che si scarica sulle persone che lavorano si può fisiologicamente sostenere, o quanto meno tollerare.
L’iniziativa della Cgil e la proposta di legge per la Carta dei diritti universali del lavoro vogliono cambiare questo paradigma. È una sfida importante che può segnare uno spartiacque fra il passato e il futuro: rimettere al centro il lavoro, la sua dignità, il suo valore è il cambiamento necessario per migliorare le condizioni sociali, e costruire un nuovo progetto di crescita e sviluppo per il paese.