Un lucido intervento sulle colonne del quotidiano “il manifesto” segnala che il 2017 per l’Unione europea è un anno fondamentale, non soltanto per le elezioni politiche che interessano Francia, Germania e la stessa Inghilterra post Brexit.

In parallelo alla chiamata alle urne, dopo cinque anni è in programma la valutazione del Fiscal compact, ad opera dell’Ecofin che sta lavorando per la revisione dei criteri di base ai quali è fissato il valore del deficit strutturale, e anche sul cosiddetto Pil potenziale. Le conclusioni sono esplicite: “Se l’Ecofin conferma l’inidoneità dei criteri sottostanti il Fiscal compact, cade proprio il Fiscal compact come lo abbiamo conosciuto”. Sarebbe una buona notizia.

Ma il problema è che il Documento di economia e finanza presentato dal governo Gentiloni la dà per scontata o quasi, rinunciando così a qualsiasi strategia di azione espansiva tesa ad aiutare la crescita economica. “La manovra finanziaria – tira le somme Susanna Camusso a nome della Cgil - appare molto modesta e sbilanciata, oltre che recessiva”. Infatti la programmazione di un tasso di disoccupazione pari al 11,5% nel 2017, e mai sotto il 10% fino al 2020, va in parallelo a un tasso di occupazione che, negli obiettivi del governo, non arriva mai al 60%. Di più: si programma una ulteriore riduzione dei salari reali, nonostante la “moral suasion” dello stesso Mario Draghi che, in ambito europeo, ha avvertito di come, senza aumentare le retribuzioni, non si possa scongiurare il rischio di una deflazione che è ben lontana dall’essere sconfitta. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: il governo Gentiloni-Padoan non cambia verso rispetto al governo Renzi-Padoan.

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