Tim, anche il ballerino rischia il posto - di Frida Nacinovich

 

Il ballerino più famoso d’Italia rischia di ingrossare le liste della disoccupazione. La vecchia Telecom - oggi Telecom Italia Mobile, Tim - vive l’ennesimo periodo difficile della sua storia. C’è stato uno sciopero nazionale dei lavoratori venti giorni fa, il bis di quello del dicembre scorso, entrambi partecipatissimi. L’ex monopolista delle comunicazioni non trova pace. In piazza a Milano (l’altro corteo era a Roma, le due capitali del paese) c’era, fra i tanti, Matteo Cavazza, delegato sindacale nella sede Tim di Verona e coordinatore nazionale della Slc Cgil, la categoria delle telecomunicazioni.

“Occorre fare un passo indietro - spiega - al 6 ottobre scorso, quando siamo stati convocati dal nuovo management”. Sei mesi prima, la francese Vivendi di Vincent Bollorè aveva assunto il controllo dell’azienda. “Dopo aver scelto Flavio Cattaneo come amministratore delegato - aggiunge Cavazza - Bollorè ha fatto arrivare come responsabile risorse umane un certo Micheli, un celebre ‘tagliatore di teste’, un settantenne che continua a lavorare con una dedizione degna di miglior causa”.

Se il buongiorno si vede dal mattino, non c’è da stupirsi che Tim si sia data come principale obiettivo quello di risparmiare su tutto (tranne che sugli stipendi dei manager...). “Per recuperare un miliardo e seicento milioni di euro in tre anni - sottolinea Cavazza - ci hanno prospettato un futuro di tagli”. Da notare che, nel passato prossimo di Tim, ci sono già stati anni di sacrifici fatti dai lavoratori, costretti a contratti di solidarietà. Sul punto, Cavazza ricorda l’accordo firmato il 27 marzo 2013 con la vecchia governance aziendale. “Al momento della verifica, due anni dopo, l’azienda fece orecchie da mercante. Ogni nostra osservazione batteva contro un muro”.

Ora torniamo al presente, con l’amministratore delegato Cattaneo che rilascia interviste ottimistiche sul futuro di Tim, difendendo un piano industriale “di trasformazione e sviluppo”. “Ma anche gli addetti Tim leggono il Sole 24ore - puntualizza Cavazza - e capiscono che la situazione è molto più complicata. È singolare che la finanza sia informata che c’è un’azienda in salute, mentre al tavolo con i lavoratori vengano prospettati tagli su tagli”.

Si apre la vertenza, i dipendenti Tim lanciano appelli anche alla politica. “Per ora ci hanno ascoltato solo i Cinque stelle. La deputata Lombardi ha presentato un’interrogazione al ministro Poletti per mettere in luce le contraddizioni di Tim: o l’azienda ha preso in giro la grande finanza, oppure i sindacati e lo Stato, vista la richiesta di ammortizzatori sociali”. Alla fine i lavoratori hanno incrociato le braccia. “Lo sciopero del 13 dicembre ha visto un’adesione altissima. Abbiamo scioperato tutti, anche i capi, raggiungendo picchi di partecipazione dell’80%”. Con l’anno nuovo sindacati e azienda tornano a sedersi allo stesso tavolo. “Micheli neppure si è presentato - ricorda Cavazza - e nell’occasione ci annunciano che da febbraio possiamo dire addio alla contrattazione aziendale. Un comportamento inaccettabile per Cgil e sindacati di base, mentre Cisl, Uil e Ugl ci leggono delle ‘aperture’”.

Il resto è cronaca. I lavoratori Tim tornano nuovamente in piazza, il 14 marzo.”Non accettiamo la revoca unilaterale del contratto aziendale,che in concreto vuol dire taglio di salario e diritti, cancellazione di mancato rientro e maggiorazioni, decurtazione di ferie e permessi, controllo individuale, demansionamenti, e trasferimenti coatti”. Un enorme passo indietro rispetto alle condizioni di lavoro, e di vita, conquistate negli anni all’interno di Telecom.

Gli ultimi vent’anni del colosso italiano delle comunicazioni, dalle privatizzazioni della seconda metà degli anni novanta, sono stati sconcertanti. Prima i capitani coraggiosi con la scalata di Colaninno e Gnutti - benedetti dal governo D’Alema - poi Tronchetti Provera con le banche, e ora la Vivendi. Ma era destino che andasse così? “La nostra sensazione - spiega Cavazza - è che si stia cercando un nuovo Marchionne per il settore delle telecomunicazioni”. L’effetto diretto dei 27miliardi di debito finanziario accumulato, guarda caso negli ultimi vent’anni, da tutti coloro che sono entrati nella stanza dei bottoni di Telecom prima e di Tim oggi.

Ma come si vive e si lavora oggi in Telecom, che resta comunque un gigante con decine di migliaia di addetti? “Noi tecnici non siamo stati toccati dalla solidarietà, tanti altri settori invece sì. Insomma non è un bel lavorare. E soprattutto, al di là delle belle parole, degli spot pubblicitari e delle sponsorizzazioni, non sembrano esserci progetti di rilancio basati sull’innovazione, che nel nostro settore è essenziale”.

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