La marcia degli scrittori contro la mafia del caporalato - di Leonardo Palmisano

 

Il 17 aprile (ore 11) a Borgo Mezzanone nel foggiano, per una nuova Italia piena di diritti e di libertà.

Il caporalato è mafia. Inutile girarci intorno. È un reato gravissimo, perché sottomette i lavoratori e le lavoratrici a un regime neoschiavistico che trasforma un sistema produttivo in un inferno. La cosa più grave è che questo avviene in Italia, economia grande e tempio di un relativo benessere democratico, dove non poche associazioni datoriali difendono quegli imprenditori che adoperano schiavi e caporali.

Il punto è tutto qui: esiste un sistema d’impresa che sottomette decine di migliaia di lavoratori massimizzando i profitti con lo svuotamento coatto dei contratti e dei salari. Come se ciò non bastasse, il sistema impresa/caporali ostinatamente nega i diritti umani, costruendo un esercito di braccianti imprigionati in ghetti, in una condizione di esclusione sociale senza eguali in Europa.

I ghetti non chiudono d’inverno, ma restano aperti ed abitati perché chi ci vive non ha il denaro per uscirne, per sottrarsi dal giogo mafioso dei caporali. Contro questo sistema Marco Omizzolo, Giulio Cavalli, Stefano Catone e il sottoscritto abbiamo preso più volte posizione, fino a decidere di lanciare una marcia contro il caporalato per il giorno di Pasquetta. Abbiamo scritto un appello, molto semplice ma molto diretto, che è stato abbracciato subito da Migrantes Puglia, Legacoop Puglia, Granoro, Aiab Puglia, Cnca Puglia, a cui si è associata Amnesty International e tante altre associazioni ed organizzazioni.

L’appello ha girato e sta girando negli ambienti che più di altri si mostrano sensibili a intraprendere una battaglia seria contro la mafia dei caporali. La scelta di marciare in Capitanata è stata dettata da quello che è accaduto questo inverno: sgomberi coatti e roghi mortali dei ghetti, aggressioni ai braccianti e fuoco, piombo, contro le forze dell’ordine. Questo ha determinato una reazione civile importante, ma debole, alla quale hanno risposto, il 25 febbraio e il 3 marzo, le parti peggiori del sistema padronale scendendo in piazza, a loro volta a Bari, pretendendo che venga ritirata la legge contro il caporalato.

Questa follia mi porta a fare una considerazione, la medesima con la quale apro il mio libro “Mafia Caporale”: chiunque voglia sostenere l’alleggerimento dei diritti nei contratti di lavoro agricoli, e non solo, è responsabile del mantenimento e dell’irrobustimento del sistema del caporalato. Diventa quindi necessario andare oltre quanto sostenuto da alcune associazioni datoriali e prendere una posizione. Dobbiamo però imparare a riconoscere le cause vere del fenomeno. Se l’agricoltura dipende soltanto dai desiderata della grande distribuzione organizzata e dell’industria della trasformazione, facendosi dettare tempi e modi, allora sarà inevitabile il ricorso ai caporali per stare sul mercato. Le mafie lo hanno capito, per questo entrano nel sistema produttivo e, a Foggia come altrove, fanno sistema con i caporali fino ad arrivare ad aggredire la polizia a San Severo.

Dunque la scelta di marciare lì è corroborata dalla necessità di raccontare quanto sta accadendo, prima che il sistema produttivo tracolli, tenuto sotto scacco da investimenti criminali milionari (come testimoniato dai sequestri e dalle confische di mafia in campagna). Il tracollo determinerebbe l’impoverimento netto di un pezzo gigantesco dell’economia nazionale.

Non possiamo permetterci di essere schiacciati tra l’incudine delle multinazionali e il martello delle mafie. Dobbiamo fare agricoltura sana, e di prossimità, con la garanzia del rispetto dei contratti. Magari tornando al collocamento pubblico, dal momento che gli investimenti criminali nelle agenzie di somministrazione lavoro aumentano, facendole diventare delle grosse e grasse lavatrici di denaro sporco.

Vediamoci allora il 17 aprile alle 11 a Borgo Mezzanone, per marciare insieme per qualche chilometro contro la mafia dei caporali. Per una nuova Italia piena di diritti e di libertà.

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