“Il 40% degli oltre 35mila giornalisti attivi in Italia, per lo più under 35, produce annualmente un reddito inferiore ai cinquemila euro; se si guadagna così poco significa che il tema della precarizzazione e della dignità di questa professione impone riflessioni e azioni non più procrastinabili”. Quando si pensa al mestiere di giornalista si immagina una professione in cui, in stanze comode, una ristretta cerchia di privilegiati viene pagata per fornire al paese le proprie reputate opinioni. Il quadro denunciato dal presidente del Senato, Pietro Grasso, alla presentazione dell’edizione 2016 dell’Osservatorio sul giornalismo dell’AgCom, ci racconta una realtà diversa. La crisi economica ha colpito il settore dell’informazione come tutti gli altri comparti industriali del paese, con le stesse ricette applicate nelle fabbriche, soprattutto per chi lavora nelle agenzie stampa.

I giornalisti di agenzia – che trasformano i fatti in notizie, mettendole a disposizione di giornali, radio, tv e oggi anche web, vivendo a contatto con i protagonisti della cronaca, della politica e della vita quotidiana e scovando storie esemplari e casi scottanti e scomodi - sono stati i più precarizzati. In un panorama così critico, una delle commesse che assicura ritorni importanti, a fronte dell’impegno di raccontare la vita del cuore dell’istituzione nazionale, è rappresentata dalle convenzioni che le agenzie di stampa nazionali hanno potuto stabilire proprio con la Presidenza del Consiglio. Il diritto di informazione, garantito dalla Costituzione, si traduceva positivamente, nelle ultime versioni dei contratti di servizio, nella richiesta alle agenzie di mettere al lavoro solo giornalisti i cui diritti fossero garantiti, di provata esperienza, obbligati al rispetto del codice deontologico per l’aver passato un esame di Stato.

Per la prima volta il governo Renzi, invece di proseguire sulla strada di ottimizzazione del servizio ricevuto, ha annunciato con clamore di voler aprire a gara europea i servizi informativi della presidenza. L’obiettivo dichiarato? Il risparmio. Quello secondario? Affidarsi a grandi “notizifici”, capaci di produrre molto e, proprio perché multinazionali e improntati alla quantità più che alla qualità, meno inclini ad approfondire e trovare elementi critici da far emergere. Potendo provenire da ogni parte d’Europa, gli operatori di queste aziende non dovrebbero rispettare il contratto giornalistico nazionale, con una riduzione di costi che va a scapito delle tutele dei lavoratori.

Dopo aver tentato e ritentato di convincere l’attuale ministro allo sport Luca Lotti - paladino di questa presunta modernizzazione del diritto costituzionale dei cittadini ad essere informati - che la scelta si sarebbe tradotta in una rottamazione delle aziende italiane già in crisi a fronte di nessuna garanzia di miglioramento qualitativo, il settore ha fatto la scelta estrema: scioperare nel giorno in cui tutti i principali esponenti politici europei sono arrivati a Roma per celebrare il 60esimo compleanno dei Trattati che hanno istituito la Cee. L’adesione è stata integrale: tutte le 14 agenzie interessate dalla prevista riforma si sono fermate.

I risultati si sono visti: su siti e colonne di giornale del 25 e del 26 marzo sono quasi spariti i fatti e si sono moltiplicati video, foto, commenti tagliati e incollati dai comunicati stampa di politici e istituzioni. Voci giustapposte, con pochi riscontri oggettivi, perché gli occhi esperti dei cronisti ‘di strada’ non c’erano a rilevare le notizie vere, che spesso danno fastidio ma sono il cuore del diritto all’informazione garantito dalla Costituzione. Una foto dello stesso Lotti all’Abetone in una gara sciistica di beneficienza, rimbalzata sui social, mentre nelle stesse ore si era negato al confronto con la categoria “per motivi di famiglia”, ha sollevato la polemica decisiva per indurre il ministro a più miti consigli.

La gara sarebbe un unicum per un governo europeo: in nessun paese dell’Unione le agenzie sono selezionate con uno strumento commerciale, proprio per la delicatezza del loro ruolo. A giudizio della Federazione nazionale della stampa il pluralismo dell’informazione potrebbe essere garantito evitando la gara ma qualificando la commessa con un emendamento al decreto legislativo sul Codice degli appalti. Lotti, ad oggi, ci sta ancora pensando su.

“Una stampa libera, autorevole e consapevole gioca un fondamentale ruolo nella definizione della cultura di un popolo e nel rapporto che esso istituisce con il potere”, ha richiamato il presidente del Senato Grasso. L’auspicio è che questa considerazione, e non il presunto risparmio (o ricatto?) economico, costituisca il principio guida di ogni eventuale riforma.

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