Periodicamente, nella vita quotidiana personale e nella vita collettiva, occorrerebbe procedere a una sana pulizia mentale e a un sano rifarsi i fondamentali. Nell’epoca dello stordimento da eccesso di scorie di informazioni e di analisi (o pseudoanalisi), di parole in libertà, di uso non rigoroso di concetti e termini, occorre fermarsi e fare il punto.
Allora. Sovranità nazionale. All’inizio degli anni 2000, mi colpì un breve intervento sul “manifesto” di Fausta Garavini, docente universitaria di letteratura francese, fine traduttrice dei “Saggi” di Montaigne, oltre che scrittrice. Diceva che la nostra sovranità nazionale a partecipazione democratica per tenere scuola e università pubbliche e gratuite era vanificata dalle disposizioni neoliberiste e sovranazionali vincolanti dell’Unione europea. La nostra lotta a difesa dell’istruzione pubblica e gratuita era minacciata.
Prima distinzione. Il sovranismo di chi non vuole essere maciullato, asfaltato, manomesso, depredato da poteri presentati come sovranazionali (Ue, globalizzazione, mercati), non è propriamente sovranismo. È legittima difesa delle proprie prerogative democratiche, delle proprie conquiste del welfare, dello stato sociale, tipiche della storia del movimento operaio, socialista e comunista.
Lo stato-nazione è un passaggio obbligato nella storia dell’umanità. Lo hanno fatto paesi che poi hanno operato la loro volontà di potenza, con colonialismo, imperialismo, razzismo. Popoli delle periferie del mondo hanno avuto difficoltà a conseguire l’unità nazionale su base democratica, anche ad opera delle potenze colonialistiche e imperialiste. Molte chiusure identitarie in queste aree del mondo (“culturalistiche”, direbbe Samir Amin) sono state spesso reazioni alla omogeneizzazione-omologazione volute dai poteri mondiali, oggi sub specie globalizzazione-mondializzazione sotto l’egida del neoliberismo. E qui molto centrosinistra, italiano e mondiale, è a questo globalismo arruolato e schierato.
Il cosiddetto sovranismo dei Salvini, Meloni, Le Pen, Orban, (e poi Trump, Erdogan,) è in realtà feroce ed escludente nazionalismo su base etnica. Il tradizionale nazionalismo di destra e di estrema destra. Punto e basta.
Il populismo è vecchio come il mondo. Il trasferimento carismatico a un capo, a un leader, delle proprie prerogative personali di desiderio di cambiamento, di speranze, di progetto da una parte, ma anche di volontà di potenza, di razzismo, di esclusione, dei peggiori impulsi di sopraffazione e di dominio dall’altra, non è la stessa dinamica, lo stesso processo storico e antropologico.
Anche qui c’è populismo e populismo. L’America Latina è continente esemplare in tal senso. Fidel, Chavez, Evo Morales, Mujica, o la controversa figura di Peron, non sono Bolsonaro, Macrì e compagni.
Lo stesso populismo oggi, anche in Europa, sotto mentite spoglie, in presenza di una degenerazione, di una caduta verticale della politica come nozione nobile del pensiero e dell’agire umani, va alla grande. Ancor più nel contesto oggi del dilagante “narcisismo” dei social media, della dilagante manipolazione occulta di questi strumenti, in realtà soggetti di nuova e “tollerante”, marcusianamente parlando, oppressione.
Personalità disturbate, mosse da un narcisismo esasperato, si impongono facilmente come capi, come leader. Renzi da una parte, e Salvini dall’altra, per restare in Italia, posseggono questi tratti distintivi. Soprattutto in presenza della programmatica volontà di cancellazione dei corpi intermedi (partiti, sindacati, organismi associativi e della società civile, ecc.) perseguita dal capitalismo globalizzato e neoliberista.
Infine, le nozioni fondamentali di identità e di appartenenza. Via via sempre più cancellate da un malinteso sviluppo e da un preteso progresso umano. In realtà costitutive dell’umano. Una pretesa modernizzazione, anche a sinistra, ha oscurato queste nozioni. Senonché, l’inglese, il francese, il tedesco, lo statunitense, dominanti mondiali, hanno una forte identità e una forte appartenenza, anche se si presentano cosmopoliti, globalisti, moderni. Le identità minacciate e subalterne spesso vengono considerate come passatismo, tribalismo, chiusura.
Mi piace pensare ai curdi e ai nostri genitori. L’identità e l’appartenenza del curdo e della ragazza curda sono in realtà apertura a un universalismo democratico e includente, di contro a quelle del fondamentalista soldato del califfato. Di contro anche del cattolico fanatico e oscurantista. Quella identità e appartenenza dei nostri genitori, poveri, ma orgogliosi di appartenere al “partito”, a una comunità che perseguiva valori di eguaglianza e di dignità umana.
Quella cosa così profondamente umana delle classi subalterne, che Ernst Bloch chiamava il diritto di “camminare eretti”, e György Lukács “sviluppo consapevole della personalità umana”. Oltre il necessario sviluppo materiale ed economico e l’uscita dalla indigenza.