E' stato presentato lo scorso 29 maggio il Rapporto annuale sullo stato sociale, curato dal professor Roberto Pizzuti, docente di Economia alla Sapienza. Giunto alla sua tredicesima edizione, il Rapporto – redatto nel Dipartimento di Economia e Diritto, con il sostegno del Master di Economia Pubblica e il contributo di studiosi ed esperti esterni – costituisce un appuntamento stabile di dibattito proposto dalla Sapienza sulle problematiche strutturali e congiunturali del welfare state, collegate al più complessivo contesto economico-sociale.
Le tematiche specifiche analizzate quest’anno riguardano il welfare aziendale e le sue connessioni con il welfare pubblico, con le relazioni industriali, con la produttività e le dinamiche salariali, e con le diseguaglianze nell’accesso ai beni e servizi sociali.
Il Rapporto approfondisce poi le problematiche attuali dello stato sociale in Europa e in Italia, collegate alle politiche economico-sociali seguite dall’Unione europea e dai governi nazionali. Si analizzano le dinamiche demografiche e migratorie; le politiche nel mercato del lavoro; l’andamento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito; le tendenze nei settori dell’istruzione, della sanità, dell’assistenza, e degli ammortizzatori sociali.
Particolare attenzione è dedicata ai cambiamenti nel settore previdenziale pubblico e privato, e nelle politiche per il reddito minimo e di cittadinanza. Sul punto, la previsione contenuta nel Rapporto è chiara: “Oltre la metà dei lavoratori dipendenti assunti dopo il 1995, avendo sperimentato retribuzioni saltuarie e basse, rischiano di maturare una pensione del tutto inadeguata a tutelarli dalla povertà”.
Che il problema esista è stato confermato, nel corso della presentazione, dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: “Per via di lavori precari, e carriere instabili, difficilmente avranno pensioni dignitose”. Tridico ha auspicato che intanto venga “allargata la pensione di cittadinanza” fino a 780 euro, ma è evidente che non può essere questa la soluzione.
Il professor Pizzuti propone di “attenuare il collegamento rigido tra prestazioni e contributi”, introducendo una pensione di base, cioè “un importo pensionistico garantito che tenga conto degli anni di attività individuale anziché del solo montante di contributi accumulato”. Il professore non crede invece che la soluzione possa essere la previdenza integrativa, perché sono solo i lavoratori con un contratto stabile, e una retribuzione piena, che possono permettersi di pagare i contributi ai fondi privati oltre che all’Inps. Di conseguenza Pizzuti ha parlato del rischio che in futuro “insorgano crisi sociali”.
Sulla necessità di una pensione di garanzia per i giovani è intervenuto anche il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. Questa dovrebbe essere, almeno in parte, messa a carico della fiscalità generale, cioè di tutti i contribuenti, e non risolversi unicamente in una solidarietà interna al mondo del lavoro. Del resto, ed è questo un altro punto importante del Rapporto, l’invecchiamento della popolazione rischia di mettere a dura prova il sistema attuale. Come ha sottolineato il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, se continua a scendere la quota di redditi da lavoro sul Pil non c’è riforma delle pensioni che possa garantire la sostenibilità finanziaria del sistema.
Nel suo intervento, Landini ha affrontato anche il controverso tema del rapporto tra previdenza pubblica e previdenza completare, e fra sanità pubblica e sanità aziendale. Proprio illustrando i numeri del sempre più esteso welfare contrattuale, Pizzuti aveva lanciato l’allarme: “Il welfare contrattuale è uno sconto fiscale per le imprese, che hanno anche il vantaggio della fidelizzazione del proprio dipendente”. Aumenti contrattuali pagati tramite fondi defiscalizzati, destinati soprattutto alla sanità privata, tolgono risorse alla sanità pubblica, stimate in oltre due miliardi annui.
Landini ha ripreso le proposte di detassare gli aumenti dei contratti nazionali, invece che i premi di risultato e il welfare aziendale, e di prevedere che i fondi integrativi facciano convenzioni con il Sistema sanitario nazionale per favorire la sanità pubblica. Anche per Pizzuti la soluzione è quella di abolire le leggi che detassano il welfare occupazionale, e aumentare realmente i salari.
Passando infine alla prima manovra del “governo del cambiamento”, Pizzuti non è stato tenero: “La manovra si mantiene nel solco della austerità espansiva, che è fallita in tutta Europa”. Reddito di cittadinanza e “quota 100” non risolvono il problema della lotta alla povertà e di un sistema previdenziale iniquo. La flessibilità in uscita introdotta con “quota 100” riguarderà “verosimilmente un numero limitato di lavoratori, visto che le domande al 30 aprile erano solo 116mila, di cui circa il 20% bocciate, mentre il governo ha stimato 360mila uscite nel 2019”.