L’esito delle elezioni europee ridà purtroppo slancio alle pressioni per concludere rapidamente l’iter per la sottoscrizione delle intese definitive, con le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, in materia di “autonomia differenziata”. L’arretramento e la debolezza politica del M5s, e la grande avanzata della Lega, stanno determinando un quadro diverso rispetto alle “frenate” dei mesi scorsi, e aumenta il rischio di una rapida approvazione delle intese tra governo e Regioni proponenti. Soprattutto aumenta il rischio che vengano superati i vincoli e le garanzie indispensabili che erano emersi nel dibattito politico-istituzionale, sia sull’iter procedurale che sui contenuti di merito, anche e soprattutto grazie alle iniziative messe in campo dalla Cgil.
Fin dalla presentazione delle proposte delle Regioni abbiamo sostenuto che il percorso indicato era sbagliato, nel metodo e nel merito. Se ad ogni singola Regione vengono attribuite competenze diverse e può deliberare normative, regole e tutele diverse, si scivola inevitabilmente in una frammentazione ingovernabile del paese, in una pericolosa accentuazione delle differenze già esistenti, in un incremento delle diseguaglianze in base al luogo di residenza.
La definizione delle competenze e delle responsabilità; l’individuazione delle funzioni che possono essere attribuite alle Regioni e di quelle che devono rimanere di esclusiva competenza statale; dei criteri oggettivi per l’assegnazione delle risorse economiche necessarie ad esercitarle; dei livelli essenziali di prestazioni e servizi da garantire in modo certo e omogeneo in tutto il territorio nazionale; delle modalità di finanziamento e salvaguardia degli strumenti di perequazione, solidarietà, di garanzia dei diritti fondamentali: tutti questi temi non possono essere affidati a tante diverse intese tra le singole Regioni e lo Stato.
Serve dunque un quadro legislativo e normativo, che va definito a monte dal Parlamento e con un percorso trasparente e partecipato tra tutti i livelli istituzionali. Un quadro che valga come riferimento generale e omogeneo per qualsiasi successiva intesa di attuazione dell’articolo 116, la cui legittimità va in ogni caso coniugata con gli altri articoli della Costituzione.
Oggi siamo in presenza di un quadro politicamente, e mediaticamente, mistificatorio: a parole tutti, comprese le forze politiche e le Regioni proponenti, prendono le distanze dalla “secessione dei ricchi”, dichiarando di condividere la necessità di garantire la coesione nazionale, il rispetto di tutte le Regioni, e la salvaguardia dei diritti e delle prestazioni essenziali. La richiesta, secondo loro, sarebbe unicamente quella di voler soltanto le risorse relative alle funzioni trasferite. Sostanzialmente, invece, sul tavolo ci sono ancora gli stessi contenuti delle pre-intese di febbraio, e la proposta di una redistribuzione delle entrate in rapporto ai diversi Pil regionali.
Di conseguenza la Cgil deve quindi continuare e rafforzare la sua iniziativa. Dobbiamo insistere sulla necessità di garanzie e tutele universali per la salvaguardia dei principi e dei diritti sanciti dalla Costituzione. Dobbiamo rendere evidente che il patto di cittadinanza è fra lo Stato e i cittadini, non fra Stato e territori; che il sistema fiscale e di redistribuzione delle risorse deve essere finalizzato a ridurre le diseguaglianze fra territori e fasce sociali e non ad accentuarle, come invece autonomia differenziata e flat tax determinerebbero.
Istruzione e formazione, il sistema socio-sanitario e quello previdenziale devono rimanere unitari e pubblici in tutto il territorio nazionale. I livelli essenziali delle prestazioni e dell’assistenza devono essere definiti e garantiti finanziariamente in modo omogeneo in tutto il paese, per tutti gli ambiti di possibile attribuzione di competenze alle Regioni. I principi e le normative che regolano le grandi infrastrutture nazionali, la mobilità e il trasporto pubblico, la tutela dell’ambiente e del territorio, i beni demaniali, la classificazione e la gestione dei rifiuti, la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e nel territorio, devono rimanere di competenza statale. Ancora, i rapporti e i contratti di lavoro non devono essere regionalizzati, mantenendo invece la centralità e il riferimento omogeneo dei contratti nazionali.
Non siamo contrari a un percorso serio di decentramento dell’organizzazione e della gestione dei servizi, a una maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni locali, e a una maggiore vicinanza delle sedi decisionali ai territori. Caso mai evidenziamo il rischio di un ulteriore centralismo regionale, che svuoterebbe di funzioni e titolarità gli enti più vicini alla popolazione e al territorio. Ma siamo chiaramente contrari alla creazione di cittadini di serie A e serie B, tra le Regioni e all’interno delle singole Regioni.
La ricetta giusta è opposta: servono più universalità dei diritti e più equità, più omogeneità nell’accesso e nell’erogazione dei servizi essenziali, nelle tutele sociali e sul lavoro, nei sistemi fiscali, sia in Italia che nel resto d’Europa.