Apocalisse umanitaria - di Sergio Segio

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  Presentato il “15° Rapporto Diritti Globali 2017”, pag. 576, euro 20, Ediesse. 

Con il volume appena uscito in libreria, al solito pubblicato da Ediesse e curato da Società Informazione, il “Rapporto sui diritti globali” compie 15 anni, grazie anche al sostegno della Cgil e l’adesione delle maggiori associazioni italiane. Ma che ci sia poco da festeggiare lo dice il titolo scelto: “Apocalisse umanitaria”. Un’immagine che scaturisce in particolare dall’esodo biblico in corso: un fiume dolente e inarrestabile di profughi che, mettendo a rischio la propria vita, tenta di salvarsi da una morte invece certa, ma che viene ricacciato indietro da un’Europa che ha scelto di difendere i confini anziché i valori fondanti e i doveri di umanità. Un esodo che nel mondo colpisce oltre 65 milioni di persone; erano la metà solo vent’anni fa. La causa principale sono i tanti conflitti bellici in corso e il cambiamento climatico, due tra i temi principali trattati nel Rapporto 2017. La sola guerra in Siria, dal 2011, ha prodotto quasi mezzo milione di morti, due milioni di feriti e 12 milioni di profughi su 23 milioni di abitanti.

Che i sentimenti e le politiche umanitarie possano soccombere di fronte al cinismo dei governi ce lo dice lo stillicidio dei morti nel Mediterraneo (2.993 da inizio 2017 al 22 settembre, almeno 60.000 dal 2000 a oggi). Ma nell’ultimo anno ce lo evidenzia, con ulteriore drammaticità, l’accordo voluto dall’Italia con la Libia per bloccare i migranti e impedirne l’imbarco, nel quadro di quella esternalizzazione delle frontiere già inaugurata dall’Unione Europea con la Turchia di Erdogan. A Paesi in conflitto e con inesistenti standard democratici viene appaltato dietro lauto compenso il lavoro sporco, vale a dire il trattenimento dei migranti in veri e propri lager dove la violazione dei diritti umani è quotidiana, documentata e denunciata da organismi internazionali. A ciò si sono aggiunti la campagna di criminalizzazione delle Ong impegnate nei salvataggi in mare e il codice a loro imposto dal ministro Marco Minniti.

È il trionfo dell’inumano, per dirla con lo storico Marco Revelli. Un tragico punto di arrivo di un processo di ribaltamento del senso morale. Chi è impegnato a salvare vite diventa oggetto di campagne d’odio e di inchieste giudiziarie. Chi impone politiche che vulnerano diritti fondamentali e causano vittime a migliaia si fa schermo di un diffuso consenso, in un gioco di specchi tra politiche e opinione pubblica consolidato da tempo.

È una delle facce e degli effetti dei populismi montanti e vincenti in diverse parti d’Europa, ma non solo, come l’elezione di Trump aveva mostrato. Populismi che dovrebbero essere considerati sintomo e manifestazione di una pericolosa malattia che sta colpendo la democrazia, ma che troppo spesso vengono colpevolmente scambiati per una medicina. Monta la rivolta di chi si trova in ragione della crisi economica sul crinale scivoloso tra il cadere fuori e il rimanere dentro; che di questa precarietà fa colpa alle “caste”, ma che alla fine confligge e si sfoga invece su chi sta un gradino più sotto del proprio, gli ultimi della fila. I migranti in primo luogo.

Questo è stato un anno in cui i discorsi d’odio sono lievitati, incontrollati. E non poteva forse che essere così, dato che troppo spesso promanavano dall’alto. Da un razzismo istituzionale e “democratico” che ha gradatamente permeato la società. La scelta del Partito Democratico e del governo Gentiloni di rinunciare a portare avanti la legge sullo ius soli, per giunta “temperato”, concretamente e simbolicamente mostra il livello raggiunto dalla catastrofe umanitaria, morale e culturale. Una legge la cui proposta originaria risale addirittura al 1992. Non è bastato un quarto di secolo a varare un provvedimento che avrebbe aiutato gli italiani a non cadere nella trappola della paura, del rifiuto e del razzismo, oltre a essere un provvedimento di giustizia e di adeguamento alle normative dei Paesi più civili e avanzati: il “vero” ius soli, quello che prevede che chiunque nasca in uno Stato ne ottenga automaticamente la cittadinanza, vige infatti negli Stati Uniti, in Canada, in quasi tutta l’area latinoamericana, mentre una sua forma condizionata esiste in diversi Paesi, come Francia, Germania, Regno Unito, Irlanda.

In Italia un centrosinistra timoroso giudica che per un tale provvedimento sia troppo presto. Il rischio è che diventi invece troppo tardi per impedirci di cadere nel baratro dell’apocalisse umanitaria già ampiamente delineata.

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