Lavoro e Riscatto, soprattutto se associati, suonano come termini ottocenteschi. E per molti versi ottocentesca è la situazione odierna del lavoro, il suo sfruttamento, i suoi problemi di inadeguata rappresentanza, soprattutto politica. Un lavoro che si articola in due grandi segmenti: il popolo dell’Abisso, l’inferno del lavoro precario, a tempo determinato permanente, a part-time involontario, a progetto, flessibile, a rimborso di scontrini, povero, gratuito; il lavoro inglobato e sussunto nel blocco regressivo azienda-territorio, toyotisticamente inteso, quello della partecipazione in via gerarchica, dell’autoattivazione dei lavoratori, della fabbrica-comunità, dove è escluso il conflitto e la rappresentanza autonoma del lavoro. Come riunificare il popolo dell’Abisso con i lavoratori e le lavoratrici occupati dentro il primo cerchio delle aziende, quello del contratto a tempo indeterminato, dei benefits e del welfare aziendali, della presunta condivisione della “vision” e della “mission” nella competizione globale? Come riunificare socialmente, sindacalmente e politicamente chi vive immerso nel neo taylorismo digitale e chi vive avvinto nel pervasivo toyotismo?
Questa riflessione di fondo ha animato l’iniziativa di Firenze il 17 novembre dal programmatico titolo “Il Riscatto del Lavoro”, con la relazione introduttiva di Maurizio Brotini, l’intervento musicale di Marco Rovelli, il contributo di Marta Fana, l’intervento di Vania Bagni dell’Anpi Toscana, l’appassionato e ragionato appello alla mobilitazione della Cgil in tema di pensioni e politiche economiche e sociali di Dalida Angelini, segretaria generale della Cgil Toscana, i contributi di delegate e delegati e di segretari generali di Camere del Lavoro e di categoria, gli interventi dei riferimenti nazionali di due pluralismi come Lavoro Società - Andrea Montagni per Giacinto Botti -, e Democrazia e Lavoro, Nicola Nicolosi.
Abbiamo voluto dare un contributo per il congresso della Cgil su quello che secondo noi deve essere il tema centrale della discussione. Poco ci appassiona il nome del futuro segretario generale, di cui troppo si discorre nei corridoi. Quel che ci preme è la riflessione su come siamo fatti e organizzati attualmente e se sia questo che ci rende difficile la ricomposizione orizzontale, camerale, confederale del lavoro. Unica possibilità di ricomporre nella dignità ed autonomia di classe i due blocchi sociali nei quali si articola la vita lavorativa dei subalterni. Il tutto navigando in mare aperto, in un ambiente esterno totalmente ostile. Ben prima di essere autonomi, siamo soli. E allora l’unità è un bene primario. Unità basata sulla stima ed il rispetto reciproci. Unità sul No al referendum costituzionale, sul nuovo Piano del Lavoro, sulla Carta dei diritti universali, sulla raccolta delle firme per trasformare la Carta in legge di iniziativa popolare e per proporre i tre referendum a sostegno sui voucher, la responsabilità in solido e la ripresa ed allargamento dell’articolo 18, sulla manifestazione nazionale contro lo scippo referendario da parte del governo, da noi definito come un furto alla democrazia. L’Unità ed il Pluralismo (i pluralismi e le aree, anzi) sono la premessa per poter svolgere liberamente le riflessioni su questi temi e per regolare in maniera organizzata, trasparente e riconoscibile la nostra vita interna. Perché proprio quando c’è larga condivisione di massima della linea politica confederale - al netto degli scostamenti e discrepanze delle iniziative contrattuali categoriali e della concreta traduzione territoriale, nonché di alcuni distinguo sulla linea che sarebbe utile e costruttivo potessero darsi robustezza di analisi, libertà di movimento ed esplicitazione politico-programmatica - che è necessario strutturare come valore e fatto fisiologico l’articolazione dei vari pluralismi di maggioranza, utile antidoto alle cordate informali tra i dirigenti, basate sugli affidamenti reciproci o su patti di gestione. Il riconoscimento che i pluralismi di maggioranza non sono una patologia dell’organizzazione, ma un elemento fisiologico ed ordinario, virtuoso e progressivo. Vogliamo per nostro conto anche provare a contribuire a ricostruire - con tutti coloro che vorranno condividerlo - un nuovo e rinnovato pluralismo di maggioranza “di sinistra” che riaffermi in Cgil un punto di vista marxista e di classe organizzato, per una Cgil vertenziale, rivendicativa e conflittuale. Una Cgil protagonista, che non giochi di rimessa, che non appaia subalterna all’agenda dettata dal governo o da altri. Una Cgil che consideri come dato acquisito il giudizio sulla natura regressiva del Pd e dei governi ai quali ha dato vita o ha sostenuto sul piano delle politiche economiche e sociali.