Siccità: l’acqua non è una merce - di Simona Fabiani

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La crisi idrica nel nostro paese ha raggiunto, questa estate, livelli storici con 11 regioni che a inizio agosto erano pronte a chiedere lo stato di calamità naturale.

Il calo delle precipitazioni ha raggiunto anche l’80%, le ondate di calore sono arrivate già a giugno. A luglio la temperatura in Italia è stata superiore di ben 1,2 gradi rispetto alla media di riferimento e in due terzi del paese si sono registrati livelli di siccità da allarme.

Il 21% del territorio nazionale è a rischio desertificazione, rischio che sale al 41% nelle regioni meridionali. La siccità ha causato oltre due miliardi di danni fra coltivazioni e allevamenti, dati Coldiretti.

Con l’innalzamento delle temperature, dovuto al cambiamento climatico, la siccità e la scarsità della risorsa idrica saranno problemi sempre più gravi anche per il nostro paese.

Non possiamo permetterci un uso irrazionale e inefficiente dell’acqua. L’Italia ha un’impronta idrica annua pro capite di 2.330 metri cubi, contro una media di 1.240 metri cubi.

L’economia circolare può dare un contributo determinante alla riduzione dell’impronta idrica della produzione industriale. L’uso efficiente delle risorse: energia, materie, acqua, la riparazione e riconversione dei prodotti a fine vita, il riuso, possono ridurre notevolmente il consumo di acqua. Ognuno di noi può fare qualcosa per ridurre il consumo idrico. Utilitalia a giugno ha stilato un vademecum di consigli: l’installazione dei frangigetto ai rubinetti, la riparazione delle perdite del water, l’uso della doccia invece del bagno in vasca, chiudere il rubinetto quando ci laviamo i denti, usare l’acqua di cottura della pasta per innaffiare le piante e altri consigli di buon senso.

Un uso responsabile dell’acqua da parte di singole imprese e cittadini è senza dubbio auspicabile, ma solo un radicale cambiamento nel modello di sviluppo, sostenibile e consapevole della limitatezza delle risorse naturali, può fermare questo pericoloso processo.

La manutenzione delle reti deve essere una priorità assoluta. La dispersione idrica media in Italia è del 40%. Le punte più alte di dispersione si registrano nei comuni del sud, ma il fenomeno riguarda anche i comuni del centro e nord Italia, sia le gestioni pubbliche che quelle private.

Gestire l’acqua come una merce, con il solo obiettivo di trarne profitti, non è la soluzione.

Il problema della crisi idrica non si risolve con la privatizzazione così come non si risolve con misure estemporanee ed emergenziali. Servono investimenti.

Per adeguare e mantenere la rete idrica nazionale è stimato un fabbisogno di almeno cinque miliardi all’anno. In Italia gli investimenti attuali medi sono di 32-34 euro per abitante all’anno; la media europea è di circa 100 euro (in Danimarca si arriva a 129 euro). Le risorse per gli investimenti devono essere certe e strutturali, le opzioni per reperire le risorse necessarie sono varie: obbligazioni statali finalizzate al potenziamento-ammodernamento delle infrastrutture, un ruolo attivo della Cassa Depositi e Prestiti, il ricorso alla fiscalità generale, l’utilizzo dei fondi strutturali europei.

Il nodo degli investimenti è il primo passo per affrontare il problema e trasformarlo in una grande opportunità di sviluppo sostenibile e di occupazione: dovrebbe essere affrontato seriamente in Parlamento, all’interno di nuovo quadro normativo complessivo sul servizio idrico integrato che rispetti l’esito del referendum del 2011.

L’altro tema da affrontare con determinazione è la lotta contro i cambiamenti climatici. Se in Italia l’aumento di 1,2 gradi di luglio ha creato queste gravi conseguenze, possiamo solo immaginare cosa potrebbe succedere a livello globale con un aumento di 3,5 gradi della temperatura media.

Non dobbiamo scordarci infatti che a Parigi, nel 2015, i leader mondiali hanno sottoscritto un accordo per mantenere l’incremento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi, continuando gli sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi, ma gli impegni di riduzione delle emissioni (Indc) assunti collettivamente dai vari paesi, anche se venissero rispettati, porterebbero ad un aumento della temperatura oltre i 3,5 gradi.

Piuttosto che stupirci ogni volta della violenza e della frequenza dei fenomeni atmosferici estremi: la siccità di questa estate, l’uragano Harvey in Texas, le alluvioni che arriveranno al finire dell’estate, ecc., dovremmo ricordarci dell’imperativo e dell’urgenza di contrastare i cambiamenti quando si fa programmazione economica, fiscale, industriale ed energetica, tenendo conto che gli impegni assunti a Parigi, compresi i target europei di riduzione delle emissioni, efficienza energetica e energie rinnovabili, non sono in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi e quindi rispettarli non sarà sufficiente.

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