Le ferrovie britanniche si preparano alla guerra? - di L.B.

“The navigators”, il film del 2001 di Ken Loach, mostra molto bene la privatizzazione delle ferrovie inglesi e gli effetti che ha avuto sui lavoratori e sulla sicurezza. Dai primi anni ‘80, quando furono vendute (o meglio, svendute) ai privati, si sono succeduti molti governi, tanto conservatori quanto laburisti, eppure nulla è cambiato: nonostante la riforma fosse dei conservatori, i laburisti non hanno mai neanche provato a invertire il processo della Thatcher.

È di pochi giorni fa la notizia che il nuovo governo laburista (di orientamento centrista, non certo vicino agli orientamenti di Corbyn) ha approvato una riforma che riporterà molto rapidamente le ferrovie sotto il controllo pubblico. La notizia ha galvanizzato la sinistra europea, compresi molti comunisti, che vi vedono una buona novità: la patria del neoliberismo (insieme agli Usa di Reagan), che ha dato il via ai lunghi decenni di liberalizzazioni, comincia a invertire il processo, una cosa di cui gioire.

 

Nessuna resistenza del capitale britannico

Una volta terminati i festeggiamenti, è bene chiedersi con lucidità come questo sia possibile proprio ora. Infatti, storicamente il neoliberismo può essere invertito in presenza di forti mobilitazioni organizzate da sindacati e partiti di sinistra e comunisti, ma tutto questo non si è visto né nel Regno Unito né altrove. In sostanza, un settore come quello delle ferrovie con alti rendimenti, grazie al regime di quasi monopolio, viene sottratto al capitale privato da un governo ad esso certamente non ostile senza che questo reagisca in alcun modo.

Certo, lo stato delle ferrovie inglesi, come di tutte quelle passate sotto controllo privato, non è certo ottimo: mancano investimenti, ci sono numerose cancellazioni, interruzioni, incidenti, tutti fattori che creano problemi al resto del sistema economico, cioè agli altri capitalisti. Ma è questa una ragione sufficiente per non opporsi “all’esproprio” di un settore tanto remunerativo?

 

La fine del neoliberismo e la guerra

Le ragioni sono probabilmente altre e c’è poco di cui gioire. Non si può ignorare, infatti, il contesto, quello di un progressivo scontro tra le potenze imperialistiche (Usa e Regno Unito in primis) e il Sud del mondo, che procede verso una sempre più spinta autonomizzazione dalle ex potenze coloniali. Questo pone una sfida vitale all’imperialismo che vede sempre meno possibilità di sfruttamento dei paesi del Sud e quindi viene privato di una leva fondamentale contro il calo tendenziale del saggio di profitto. La “guerra mondiale a pezzi” di cui ha parlato Papa Francesco.

Un capitolo di questa guerra è l’Ucraina, dove l’imperialismo occidentale pensava di poter piegare rapidamente la Russia e costringerla nuovamente in una condizione di sottomissione, come durante il periodo post-sovietico di Eltsin. 

Le sanzioni non hanno funzionato. Soprattutto, la Russia ha dimostrato una capacità bellica molto superiore alle attese degli esperti militari occidentali. In particolare, ha saputo orientare tutta la propria economia a sostegno dello sforzo bellico, nonostante non sia più un paese socialista. 

Il ruolo dello Stato nell’economia russa, così come quello in altri paesi Brics, ha permesso di coordinare la produzione pubblica e privata a sostegno dell’economia e della guerra. Non dimentichiamo quanto, da oltre un secolo, sia fondamentale, nella strategia di guerra russa, l’uso delle ferrovie.

Da questo punto di vista, la fine della privatizzazione delle ferrovie inglesi assume un altro significato e altre spiegazioni. Se la prospettiva è quella di uno scontro militare con il Sud del mondo, e alla luce di quanto avvenuto in Russia, non si può lasciare alla gestione privata, orientata al profitto immediato, uno strumento strategico per la guerra come le ferrovie. Questo deve rientrare nel controllo diretto dello Stato perché possa essere mobilitato rapidamente in caso di guerra diretta (in Ucraina questa è indiretta e mediata dallo stato ucraino).

Non dimentichiamo che è proprio la Gran Bretagna il paese che più spinge per uno scontro a breve con la Russia. A luglio, il nuovo comandante delle forze militari britanniche ha affermato che il paese deve essere pronto a combattere una guerra tra tre anni, e il governo Starmer, che ha avviato la ri-nazionalizzazione delle ferrovie, ha deciso di sostenere questa posizione aumentando la spesa militare dal 2,3% del pil al 2,5% già quest’anno. Il predecessore del generale, sei mesi prima, aveva chiesto il ripristino della coscrizione militare, al fine di creare un esercito per combattere una guerra.

Come si vede, l’eventualità di una guerra orienta la politica inglese molto più del desiderio antiliberista, e in questa tendenza va iscritta la decisione di nazionalizzare le ferrovie britanniche.

In assenza di forti mobilitazioni sindacali e politiche, sarà la guerra a porre fine al neoliberismo. Per questo sono necessari scioperi e manifestazioni che abbraccino nei loro orientamenti la lotta all’imperialismo, mortifero tanto per il sud del mondo che per i lavoratori occidentali.

(27 novembre 2024)

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