Pakistan in affanno: a rischio implosione? - di Gianni Sartori

Rigurgiti jihadisti, scontri settari, lotte indipendentiste, attentati non rivendicati, minoranze perseguitate e lotte di potere.

Dopo lennesima faida settaria tra sunniti e sciiti (innescata da questioni legate alla proprietà dei terreni), lannuncio di una tregua temporanea tra le due comunità, decretata dallAssemblea dei consigli tribali (Jirga), risaliva al 24 novembre scorso.

A Kourram, nel Khyber-Pakhtunkhwa in quattro giorni si contavano unottantina di morti (66 sciiti e 16 sunniti, quelli identificati) e centinaia di feriti. Gli scontri, iniziati in luglio in questi territori tribali che confinano con lAfghanistan e con la provincia del Gilgit-Baltistan, avevano causato in totale almeno 160 vittime.

Così il comunicato del governo provinciale: “Le due parti hanno accettato un cessate il fuoco di sette giorni per consentire lo scambio dei prigionieri e la restituzione dei corpi delle vittime”.

Il 21 novembre alcuni convogli che trasportavano famiglie sciite sotto scorta della polizia venivano assaltati da uomini armati “non identificati”. Ancora incerto il numero delle vittime: ufficialmente 40, ma alcune fonti parlavano di ben 110, tra cui 10 bambini e un neonato. Forse una rappresaglia per lattentato del 12 ottobre in cui erano rimaste uccise 15 persone.

Mentre i talebani pachistani (Tehreek-e-Taliban Pakistan) si dichiaravano estranei allattentato (puntando il dito contro i servizi segreti pachistani, accusandoli di voler alimentare il settarismo tra sciiti e sunniti), per alcuni osservatori i responsabili andrebbero cercati nelle cellule jihadiste dellIslamic State Khorasan Province. La cruenta risposta degli sciiti aveva colpito i quartieri sunniti di Parachinar, dove centinaia di abitazioni e di negozi erano stati incendiati. Con una ventina di persone scomparse (uccise o sequestrate) e centinaia di sfollati.

Nella stessa settimana degli scontri settari di Kourram, una ventina di soldati venivano uccisi nelle aree montagnose del nord-ovest e sette poliziotti sequestrati.

Se oltre a quelli del Khyber Pakhtunkhwa contiamo anche gli scontri armati nel Belucistan (provincia vittima di numerosi attentati rivendicati da formazioni indipendentiste), nelle prime tre settimane di novembre si contano almeno 55 vittime tra le forze di sicurezza.

 

Sfruttamento e oppressione del Belucistan

Citando i Beluci il discorso si fa più complesso, dato che la repressione nei loro confronti si coniuga con lo sfruttamento intensivo delle risorse (soprattutto minerarie). Oltre il 60% dei Beluci, diviso tra sulaymani e makrani, si trova in Pakistan. Un altro 25% vive in Iran e una piccola minoranza in Afghanistan (senza contare la diaspora). In maggioranza di religione sunnita (ma con una consistente minoranza sciita), parlano una lingua iranica.

Volendo riportare un episodio emblematico delloppressione subita dai Beluci, ricordo l’uccisione del dissidente Balaach Mola Bakhsh (novembre 2023) nelle mani del Counter Terrorism Department. Inizialmente desaparecido come capitato a un gran numero di baloch, oppositori veri o presunti. La sua morte aveva innescato una indignata sollevazione. Su iniziativa di Mahrang Baloch (“femminista e nazionalista”) si costituiva il Baloch Yakjehti Committee - Byc (Comitato per l’Unità del Belucistan) formato in gran parte da parenti dei desaparecidos’, mettendosi in marcia attraverso il Paese fino a Islamabad. Qui si erano fatalmente scontrati con la polizia.

Dopo una nutrita serie di arresti, i manifestanti venivano di fatto confinati per circa un mese al Pen Club (Circolo nazionale della stampa). Nonostante i tentativi del governo – e della stampa allineata – di screditare, delegittimare tale mobilitazione, a conti fatti si può dire che essa ha avuto grande risonanza e partecipazione.

Invece, il 2 agosto di questanno, si è conclusa prima del previsto (per decisione del Byc) la protesta a Gwadar, città portuale sotto controllo cinese. Protesta che in luglio era costata la vita ad almeno un soldato durante gli scontri tra esercito e manifestanti.

Le evidenti complicità dello Stato pakistano con il capitalismo internazionale implicano lo sfruttamento intensivo, sistematico del Belucistan. In particolare delle sue risorse minerarie, senza che questo comporti benefici per la popolazione autoctona. Anche per i megaprogetti del corridoio economico Cina-Pakistan, i quali hanno comportato sia l’ulteriore militarizzazione del territorio sia l’allontanamento forzato (deportazione) per gli abitanti.

Storicamente uno dei periodi peggiori per la popolazione del Belucistan ha coinciso con la dittatura di Pervez Musharraf (1999-2008), con una serie infinita di uccisioni, sequestri e con la legittimazione di fatto della tortura (tanto da poter parlare di “guerra sporca” in stile sudamericano). Tra le vittime – che si contavano a migliaia – soprattutto scrittori, insegnanti, medici, studenti e ovviamente attivisti e militanti dell’opposizione.

Se pur con metodi relativamente meno brutali, i governi successivi mantennero il loro tallone di ferro ben calcato sui beluci, reprimendone e soffocandone le aspirazioni all’autodeterminazione.

A tutto questo i beluci risposero organizzandosi in vario modo. Dagli estremisti del Baloch Liberation Army (precipitato, a mio avviso, in una deriva militarista-terrorista) al Bso (l’organizzazione degli studenti beluci). Oltre ovviamente al già citato Byc. Organizzazioni che in genere si collocano a sinistra, slegate dalla tradizionale leadership dei possidenti e proprietari terrieri (spesso collaborazionisti), e maggiormente radicate tra i lavoratori e le donne.

 

Violenze contro gli Hazara

Inoltrandosi nel complicato groviglio etnico-religioso del Pakistan può capitare, per quanto in buonafede, di trascurare alcune “minoranze” (in realtà di dovrebbe parlare di “popoli minorizzati”, in genere forzatamente). Vedi gli hazara, insediati nella regione pachistana del Belucistan (la maggior parte, circa 500mila, a Quetta). Di religione sciita, periodicamente sottoposti a uccisioni mirate, rapimenti e massacri. E non da ora. Risalendo indietro nel tempo, vediamo che tra il 2001 e il 2011 almeno 600 hazara avevano perso la vita in attacchi settari. Solo nei primi tre mesi del 2012 altri trenta.

All’epoca la maggior parte degli attentati vennero rivendicati dai fondamentalisti sunniti di Lashkar-e-Jhangvi Al-Alami, braccio armato del Sipah Sahaba Pakistan, entrambi infiltrati dai servizi segreti pachistani. Dopo essere state dichiarate illegali, le due organizzazione si ricostituirono come Millat Islamia Pakistan e Ahl-e-Sunnat Wal Jamat.

Da parte loro, gli hazara rispondevano politicamente, con scioperi e proteste. Senza velleità separatiste, per non fornire alibi alla repressione governativa. La manifestazione del 21 settembre 2011, indetta per protestare contro una strage di pellegrini sciiti che viaggiavano in autobus, era entrata nella storia per la grande partecipazione popolare. Ma solo dopo pochi giorni, il 4 ottobre 2011, la violenza settaria colpiva un altro autobus e diversi hazara – operai che andavano al lavoro – perdevano la vita.

Con le stesse modalità il 29 marzo 2012 venivano ammazzati otto hazara, mentre il 6 aprile altri sei venivano trucidati in una bottega artigianale. Nei primi mesi del 2013 si arrivava a circa duecento hazara morti in attentati di matrice islamica.

In precedenza, nel 2010, era stato assassinato Hussein Ali Youssafi, presidente del Partito democratico hazara (fondato nel 2003) a cui subentrava Abdul Khaliq Hazara. Nello stesso periodo i fondamentalisti sunniti tornavano a colpire anche gli hazara dell’Afghanistan (dove, un tempo maggioritari, attualmente costituiscono il 9% della popolazione), accusandoli di essere “infedeli”. Venne poi accertato che alcuni degli attentati più devastanti erano opera non dei talebani afghani, bensì di miliziani provenienti dal Pakistan legati a Lashkar-e-Jhangvi Al-Alami. Intanto continuava lo stillicidio di omicidi settari nelle strade di Quetta (alcuni osservatori ipotizzavano ingerenze e finanziamenti sauditi).

Più recentemente, nel settembre del 2020 un attentato suicida rivendicato da Wahhabi Daesh e da Lashkar-e-Jhangvi causava una ventina di morti e oltre cinquanta feriti in un mercato. Le famiglie delle vittime, per protesta contro il governo definito “complice”, si rifiutarono di seppellire i morti. A placare gli animi non bastarono le pubbliche dichiarazioni – di circostanza – di qualche esponente dell’apparato politico-militare. Comprese quelle dellallora primo ministro Imran Khan.

In varie occasioni Amnesty International ha condannato con forza le molteplici violazioni dei diritti umani subite dagli hazara. In particolare aveva chiesto che “il capo di stato maggiore dell’esercito venga a Quetta, per vedere di persona la miseria e le difficoltà del popolo hazara”.

Per completare il quadro, ricordo che anche i due milioni di hazara (in gran parte rifugiati dall’Afghanistan) che vivono in Iran sono trattati come cittadini di serie C. Ostaggi dei conflitti di influenza tra l’Iran sciita e l’Arabia saudita sunnita.

Quanto alle proteste dei sostenitori dellex premier Imran Khan(leader incarcerato del Pakistan Tehreek-e-Insaf, Movimento per la Giustizia del Pakistan), sembrerebbero al momento concluse dopo il fallimento della marcia su Islamabad. Il corteo (guidato dalla moglie di Imran Khan, Bushra Bibi e dal governatore del Khyber Pakhtunkhwa, Ali Amin Gandapur) aveva raggiunto e occupato il D-Chowk, il quartiere amministrativo di Islamabad dove si trovano le principali istituzioni del governo. Ma nella notte tra il 26 e il 27 novembre polizia e ranger intervenivano con lacrimogeni e manganelli, arrestando circa mille persone. Tra i primi a scappare mettendosi in salvo i due leader della protesta, la moglie di Imran Khan,Bushra Bibi, e Ali Amin Gandapur.

(30 novembre 2024)

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