L’uccisione, un anno fa, della giovane Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato ha scosso e interrogato le coscienze su quanto certi segnali e atteggiamenti ripetuti nel tempo non siano più da minimizzare. Lo stesso questore di Padova Marco Odorisio, che si insediò proprio il giorno della grande manifestazione che seguì all’uccisione di Giulia e che vide sfilare oltre 10mila persone, riferisce che nella provincia gli ammonimenti della questora dall’inizio dell’anno sono stati 204 (152 per violenza domestica e 52 per atti persecutori), raddoppiati rispetto allo scorso anno.
Lo strumento dell’ammonimento rappresenta un atto importante che la donna vittima di comportamenti violenti può attivare: è gratuito e non necessita del supporto di un legale, basta una segnalazione circostanziata alla questura la quale convoca il soggetto e, attraverso un richiamo fermo, cerca di fargli capire che il suo comportamento è un grave reato che deve cessare immediatamente. I riscontri a livello nazionale sono positivi, la recidiva è calata del 7% e nella stragrande maggioranza dei casi dopo l’ammonimento gli atti violenti e persecutori cessano.
Ma la domanda che ci poniamo sempre è che cosa spinga un uomo ad assumere questi comportamenti, e su questo tema credo che proprio l’approccio tenuto dalla famiglia Cecchettin debba essere preso ad esempio. Elena, la sorella di Giulia, lanciò uno straziante e deciso appello a non fare un minuto di silenzio ma a fare rumore e denunciare un sistema patriarcale ancora radicato in tanti, troppi ambiti della nostra società e troppo spesso non stigmatizzato. Allo stesso tempo Elena ci consegna una riflessione più profonda inerente all’evidente disagio psichico ossessivo dell’omicida, disagio psichico che nessuno aveva intravisto (famiglia, amici, scuola, ecc.), e che neppure lui stesso riconosceva di avere.
Quanto gli uomini siano meno propensi ad accettare il fatto di avere bisogno di supporto psicologico è anche questo un retaggio patriarcale. Da sempre nella visione patriarcale la fragilità è stata associata al genere femminile e quindi un uomo che la dichiara viene tacciato per debole; per lui è meglio agire un’azione di dominio, di forza che richiama il maschile. Nonostante dati in controtendenza tra i giovani, lo stigma verso la salute mentale in generale, ed in particolare da parte degli uomini, permane.
Lo spiega bene in una recente intervista Federico Russo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, e direttore clinico della startup Serenis: “Ignorano i sintomi di malessere psicologico, affrontandoli con la repressione emotiva e, nel peggiore dei casi, anche con comportamenti dannosi”. Proprio da una ricerca condotta da Serenis emerge che il 63% di chi non ricorrerebbe alla psicoterapia è uomo. Come spiega Russo, “il dato sembrerebbe riflettere non solo lo stigma nei confronti della salute mentale, ma anche il sessismo che vede nel disagio psicologico maschile un attributo negativo e svalutante, da negare. Gli uomini che interiorizzano questo pregiudizio tendono a pagarne i costi in termini di ulteriore disagio psicologico. Pur potendo beneficiare di un intervento psicologico, tendono a rifiutarlo in quanto significherebbe ‘ammettere’ la propria vulnerabilità. La vulnerabilità non è contemplata a livello sociale e culturale verso gli uomini”.
Retaggi culturali, una mancata diagnosi, e la scarsità o addirittura la totale assenza di servizi pubblici di supporto psicologico territoriale, giocano un grande ruolo nel non prevenire il disagio e la cronicizzazione di disturbi importanti. Tutto questo contribuisce ad accrescere il costo sociale pagato in primis dalle donne, che sempre dalla ricerca condotta da Serenis, sono vittime di atti di iper-controllo e sovraccarico emotivo.
“Le persone possono tendere ad aderire a stereotipi di genere che portano ad adottare copioni sociali condivisi. L’uomo forte e impassibile, la donna debole ed emotiva. La realtà è che le emozioni e le difficoltà psicologiche non fanno distinzione di genere e orientamento. Riguardano tutte le persone”, dice ancora Russo. In questo contesto stereotipato gli uomini assumono un atteggiamento emotivo aggressivo e sfuggente, per contro le donne tendono a subire le frustrazioni del partner, a farsene carico e spesso ne vengono travolte. Quindi il mancato superamento del modello patriarcale contribuisce in qualche modo a negare la presa di coscienza di un problema che, se non affrontato, rischia di precipitare in situazioni violente.
Le parole ripugnanti e prive di fondamento del ministro Valditara, secondo il quale il patriarcato non esiste e che la violenza sulle donne è colpa dei migranti, sono la cifra di quanto questo governo sia nemico delle donne e della verità. Ancora una volta ci ha pensato Elena a dare la risposta migliore “... se invece di fare propaganda alla presentazione della Fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e ‘per bene’ si ascoltasse, non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro paese ogni anno”.