Il 19 gennaio scorso in 30 città la mobilitazione di “Chiedimi come sto”.
In Italia i disturbi del comportamento alimentare (Dca) sono ormai un fenomeno sempre più radicato. Secondo l’indagine del ministero della Salute 2019-23, sono attualmente in cura oltre tre milioni di persone e solo nel 2023 sono quattromila le persone morte per un disturbo del comportamento alimentare. Questi numeri risultano ancora più allarmanti se pensiamo che l’80% delle persone con un Dca non sono coscienti di avere questo disturbo, non sono in grado di riconoscerlo. Dunque ogni numero, ogni statistica, sarà sempre al ribasso. I casi dal 2019 ad oggi hanno avuto un incremento decisamente preoccupante: passiamo da oltre 680mila nuovi casi nel 2019 fino a un milione e mezzo di nuovi casi nel 2023. Indubbiamente la pandemia ha svolto un ruolo cruciale nel corroborare il fenomeno ed espanderlo, essendo questo tra le tante cause legato a delle origini post traumatiche.
Non esistono delle cause predefinite in grado di spiegare perché ci si ammali di un disturbo del comportamento alimentare. Sono patologie “multifattoriali” che, nel più dei casi, emergono da un fattore scatenante che non necessariamente può esserne l’unica causa. Oggi si sta repentinamente abbassando l’età delle persone che si ammalano, andando a colpire delle fasce d’età sempre più piccole.
Una cosa è certa: di disturbi alimentari oggi si muore più di ieri, eppure l’accesso alle cure continua ad essere un privilegio per pochi. Sono solo 126 le strutture adibite alla cura dei disturbi del comportamento alimentare, di cui solo 112 pubbliche e le restanti 14 appartenenti invece al privato accreditato. La maggior parte di questi centri è localizzato nelle regioni del nord Italia, solo 23 sono presenti nel centro, mentre 12 si dividono tra Campania e Sicilia, le uniche regioni del sud ad avere dei centri.
Purtroppo il Sistema sanitario nazionale nella maggior parte dei casi non è in grado di offrire i servizi adeguati per trattare un disturbo del comportamento alimentare, ed i centri specializzati sopracitati sono evidentemente insufficienti. Oggi per potersi curare le persone sono costrette a scontrarsi con liste d’attesa infinite, sono costrette a spostarsi dalla propria regione.
Sebbene i disturbi del comportamento alimentare vengano riconosciuti come malattie di natura psichiatrica, ciò non significa che possano essere trattati come una qualsiasi patologia di questa natura. La rete completa di assistenza dovrebbe, infatti, comprendere quattro livelli: ambulatori specializzati con all’interno un team multidisciplinare di esperti, servizi semiresidenziali adeguati a svolgere i pasti giornalieri, servizi residenziali extraospedalieri in grado di sostenere il ricovero, e infine i servizi ospedalieri che devono prevedere il ricovero qualora la persona dovesse rifiutare le cure.
Nel 2021 era stato istituito un fondo da 25milioni per il contrasto, la prevenzione e la cura dei disturbi del comportamento alimentare. Attraverso questo fondo si è riusciti ad assumere oltre 780 professionisti del settore, permettendo che aumentasse il livello base di assistenza nel territorio nazionale. Tuttavia, la nuova legge di Bilancio del governo Meloni ha scelto di non rinnovare il fondo, lasciando a piedi migliaia di persone.
Dopo la notizia del taglio, diverse realtà hanno unito le forze per portare la voce di chi convive ogni giorno con un Dca senza poter accedere alle cure davanti alle istituzioni. “Chiedimi Come Sto”, progetto di sensibilizzazione sulla salute mentale promosso dall’Unione degli Universitari e dalla Rete degli Studenti Medi, insieme alla Fondazione Fiocchetto Lilla, Animenta dca e Maruska Albertazzi, hanno scelto di lanciare una giornata di mobilitazione nazionale per i disturbi del comportamento alimentare lo scorso 19 gennaio. In cinque giorni sono riusciti a costruire 30 piazze in tutto il territorio nazionale, nelle principali città italiane e non solo.
La mobilitazione partita dal basso e il suo immediato risalto ha smosso il governo: il ministro della Salute Schillaci, dopo l’annuncio delle piazze, ha dichiarato in aula che avrebbe presentato un emendamento da 10 milioni per il fondo per i Dca all’interno del Milleproroghe. Le sue dichiarazioni però non hanno fermato le piazze: il 19 gennaio trenta città italiane si sono colorate di lilla per chiedere investimenti strutturali, per vedere riconosciuti i Dca all’interno dei Lea al di fuori delle malattie psichiatriche e con un fondo a sé stante.
Oggi siamo davanti ad una problematica che ha bisogno di risposte serie, concrete e immediate. Il 19 gennaio ha dimostrato che l’opinione pubblica non ha intenzione di rimanere in silenzio davanti a milioni di vite tagliate.