Una nuova sentenza del Tribunale di Milano del dicembre scorso mette al centro la dignità del lavoro e l’applicazione dei dettami costituzionali. Parla di diritti nel lavoro delle persone detenute, in particolare di diritto all’indennità di disoccupazione, e dà merito al lavoro della Cgil a tutela delle persone ristrette.
La vicenda ha inizio nel 2019 quando l'Inps, con un proprio messaggio, stabilisce, diversamente da quanto fatto fino ad allora, che ai soggetti detenuti in istituti penitenziari che svolgano attività lavorativa all’interno della struttura ed alle dipendenze della stessa non può essere riconosciuta la prestazione di disoccupazione in occasione dei periodi di inattività in cui vengano a trovarsi.
Si tratta di lavoratori che svolgono funzioni essenziali per la vita quotidiana del carcere: addetti alle pulizie, cuochi, manutentori, addetti alla consegna delle medicine e di altri beni necessari, ecc.
Da subito la Cgil ha contestato la posizione di Inps sostenendo in tutte le sedi la natura discriminatoria della decisione, poiché i detenuti che lavorano per l’amministrazione penitenziaria hanno tutti i requisiti necessari per poter chiedere la Naspi: natura subordinata della prestazione lavorativa, versamento dei contributi previdenziali, stato di disoccupazione involontaria alla fine del periodo lavorato.
A Milano la Camera del Lavoro, come altre nel paese, si è attivata in questi anni per raccogliere comunque le domande di Naspi e presentare ricorsi di fronte ai dinieghi dell’Inps, fino ad arrivare in giudizio di fronte al giudice del lavoro.
E' in questo contesto che si inserisce la sentenza di dicembre 2023 che segue a quelle altrettanto positive del Tribunale di Milano del novembre 2021 e del Tribunale di Busto Arsizio di maggio 2022.
Anche in questo caso le parole utilizzate dal giudice nella sentenza sono molto chiare: “Qualunque sia la ragione della disoccupazione involontaria, quale ad esempio la cessazione dello stato di detenzione del detenuto o invece l’avvicendamento al lavoro previsti da regolamenti penitenziari, comunque si realizza quello stato di disoccupazione involontaria che giustifica la concessione dell’indennità. Non esistono specifiche previsioni, da parte della legge istitutiva della Naspi, che escludano il riconoscimento della indennità ai detenuti. Nessun fondamento ha quindi la posizione assunta dall’Inps, secondo il quale il lavoro prestato per l’amministrazione penitenziaria ha carattere del tutto peculiare e non può determinare l’accesso all’indennità di disoccupazione”.
Una nuova vittoria che si accompagna ad un’altra ottima notizia in questo mese: la Corte di Cassazione, l’ultimo grado di giudizio, ha dato definitivamente torto all'Inps che aveva ricorso contro una sentenza di riconoscimento Naspi per un detenuto del carcere di Voghera che aveva lavorato alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria.
È ora di mettere fine a questa odiosa discriminazione. È il momento che l'Inps torni sui propri passi e torni a riconoscere, senza la necessità di cause, la Naspi alle persone detenute. La Cgil continuerà la propria battaglia, continuando a presentare ricorsi e promuovere cause su questo tema. Solo a Milano, l’apertura degli sportelli diritti negli istituti penitenziari ha consentito la raccolta di oltre 200 domande di Naspi, e a metà marzo ci sarà l’udienza per una nuova causa promossa dalla Cgil milanese.
L’azione quotidiana della Cgil per la tutela delle condizioni di lavoro delle persone ristrette nelle libertà si fonda su due principi chiave: da un lato, che laddove si svolga una prestazione lavorativa il sindacato deve essere presente per la tutela, la rappresentanza e l’esigibilità dei diritti; dall’altro che la Costituzione è la via maestra e che il sindacato deve contribuire a promuovere la funzione rieducativa e di reinserimento sociale della pena. L’assenza di una compiuta declinazione di diritti e tutele mette in discussione questo principio costituzionale (art. 27).
Per questo l’azione della Cgil non si ferma al diritto al riconoscimento della Naspi. Le persone detenute che lavorano soffrono costantemente del mancato rispetto di diritti. Questo riguarda, in primo luogo, chi presta attività lavorativa per l’amministrazione penitenziaria: nessuna consegna di un contratto di lavoro, ore lavorate sempre superiori rispetto a quelle dichiarate, poca chiarezza sulle mansioni, diritto al lavoro utilizzato come strumento di premio o di ricatto.
Riguarda anche chi lavora per aziende esterne: sono sempre più le situazioni di false cooperative sociali e altre imprese che violano i diritti nel lavoro e determinano condizioni di sfruttamento dei lavoratori detenuti, pur usufruendo di cospicui finanziamenti pubblici. Paradossale, visto il percorso di ritorno alla legalità in cui dovrebbero essere inserite le persone che stanno scontando una pena.
La pena è la privazione della libertà personale, e la Cgil continuerà la propria battaglia per garantire il riconoscimento dei diritti delle persone ristrette.