Stellantis, come la Fiat di Agnelli, privatizza i profitti e socializza perdite e licenziamenti - di Marco Verga

Lo sciopero unitario e la manifestazione nazionale a Roma del settore automotive il 18 ottobre scorso.

Uno sciopero difficile, quello del settore automotive del 18 ottobre scorso, che ha avuto però il merito di mettere allo scoperto tutte le debolezze del sistema industriale forse più importante del nostro Paese. Una volta era la Fiat e, per molti, lo è ancora. Forse non ci si accorge che gli attori in campo non sono più quelli degli anni ‘80-’90, quando la produzione di autoveicoli si attestava sopra il milione di autovetture realizzate.

Oggi Fiat, per come l’abbiamo conosciuta noi, non c’è più. C’è Stellantis, formata dalla holding della famiglia Agnelli, da Peugeot e dal governo francese, che dovrebbe essere il quarto produttore a livello mondiale; c’è un innovazione tecnologica “spinta” che dovrebbe prevedere entro il 2035, in Europa, il passaggio dai motori endotermici a quelli elettrici. Ecco, qui sta la sfida.

Lo sciopero ha avuto anche modo di ribadire che la transizione ecologica non può essere realizzata a discapito delle lavoratrici e dei lavoratori, e che l’innovazione tecnologica non può e non deve essere un vantaggio per alcuni, i grandi marchi produttori, e la perdita di lavoro per altri, i lavoratori e le lavoratrici.

La piazza, non pienissima Piazza del Popolo, pur riempita da un corteo di ventimila lavoratori, ha prestato attenzione fino all’ultimo intervento conclusivo. Si è sentito in tutti gli interventi quello che già si sapeva: un settore in crisi, un indotto fermo ed un disinteresse generale da parte di chi governa questo Paese.

Certo, mentre una volta andava di moda la fotografia coi dirigenti Fiat, oggi è diventato più popolare parlar male di loro (invito a leggere le due facce “tristi” della stessa medaglia: quella delle dichiarazione dei ministri Salvini e Urso) ma, nei fatti, aspettiamo ancora una convocazione per poter discutere e contrattare il processo di transizione, a perdita zero di posti di lavoro.

Tavares, infine, gioca la “carta ad effetto”. Durante l’audizione davanti ai parlamentari del nostro Paese ha avuto modo di sentenziare “non chiediamo soldi per noi, chiediamo aiuto per i vostri cittadini perché possano permettersi di comprare (i nostri) veicoli”. I licenziamenti? Non si possono escludere. Qualcuno ha ricordato che, negli ultimi anni, il gruppo in Italia ha “esodato” circa 12mila dipendenti.

Il mondo forse è oggi più complesso di quello di ieri e questo è innegabile: attori più grandi, geopolitiche da non sottovalutare, un dinamismo finanziario estremo, il prender forma di un sistema economico “parallelo” molto forte e strutturato (quello dei Brics). E noi fermi al palo, ad osservare le mosse di un ad, Carlos Tavares, che utilizza in un sistema così complesso e complicato il meccanismo del bastone e della carota. Insomma, chi chiama ancora Stellantis col nome di Fiat, tutti i torti non ha: privatizzare il profitto e socializzare le perdite.

Fim, Fiom e Uilm vanno avanti perché in gioco c’è la perdita definitiva di un settore, quello dell’automotive, uno dei settori produttivi più importanti del nostro Paese, senza dimenticare che, con ogni probabilità, si entrerà in difficoltà anche su altri due settori: la siderurgia e l’elettrodomestico. Ma questa sarà un’altra vicenda.

 

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