Abitare a Milano? Roba da ricchi - di Ivan Lembo

A Milano il diritto all’abitare è sempre più messo in discussione per un'ampia fascia della popolazione. Lo dicono, in primo luogo, i dati. A partire dal 2015 i canoni di affitto sono cresciuti di più del 30%, mentre i costi per l’acquisto di quasi il 50%. I costi sono cresciuti in tutte le zone della città, in maniera particolare nei quartieri adiacenti al centro caratterizzati da progetti di rigenerazione urbana.

Cosa è successo ai redditi nello stesso periodo? In termini assoluti sono aumentati, ma sono sempre più polarizzati. Il 60% della popolazione ha un reddito inferiore ai 26mila euro, il 30% addirittura sotto i 15mila euro. Se i redditi, complessivamente, sono cresciuti come gli indici di prezzo al consumo, i salari e gli stipendi molto meno. Un operaio guadagna, mediamente, 1.209 euro netti, un impiegato 1.704, un quadro 3.200. Se considerassimo come abbordabile una spesa dell’abitare che non superi il 30% del salario, un operaio milanese potrebbe permettersi una casa di 12 metri quadri in centro, 17 nei quartieri semiperiferici, 30 nel resto della città. Un impiegato, 16 metri quadri in centro, 23 nei quartieri semiperiferici, 40 nel resto della città.

C’è una forbice sempre più larga tra i costi dell’abitare e il reddito a disposizione delle persone. Milano, la città “attrattiva, delle opportunità”, la città “del lavoro”, non è una città per chi lavora. Il reddito da lavoro non è più sufficiente a garantire una abitazione dignitosa, non è garanzia di emancipazione, di vita autonoma.

I dati forniti sono devastanti, tuttavia ci raccontano di chi ha un lavoro full time e tendenzialmente stabile. Ma in che condizione si trovano le migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori precari, discontinui, gli invisibili, spesso stranieri, che lavorano, ad esempio, nelle pulizie e nella ristorazione? Aumentano gli sfratti per morosità incolpevole, aumentano i contratti di affitto di durata inferiore ai tre anni, e in cui alla scadenza ci si ritrova di fronte ad un aumento spropositato del prezzo richiesto per l’affitto. In questo modo abitanti storici dei quartieri sono espulsi, anche in zone fino a poco tempo fa considerate abbordabili, e le case affittate a chi ha molta più disponibilità economica, oppure vendute direttamente alle agenzie.

Il ruolo del pubblico nel provare a costruire soluzioni dignitose per l’abitare è completamente scomparso. Non solo non c’è risposta per l’area “grigia”: persone che hanno un reddito e che potrebbero permettersi di sostenere dei costi, se fossero accettabili. E’ completamente venuto meno anche il ruolo giocato nel sostenere le fasce più fragili della popolazione, attraverso soprattutto l’edilizia pubblica residenziale. Negli ultimi dieci anni il pubblico a Milano a costruito solo l’1% delle abitazioni. Oggi il patrimonio pubblico rappresenta l’8% del totale, con un trend in continua discesa.

A Milano ci sono 16mila alloggi popolari sfitti: la maggioranza lo sono a causa di carenze manutentive e in attesa di ristrutturazione, che chissà quando avverrà. Tutto ciò vuol dire l’impossibilità di accedere a qualsiasi forma di abitare per le persone povere. Vuol dire impedire il diritto alla casa a quelle persone inserite in percorsi di inclusione e reinserimento sociale.

Nell’epoca delle condizioni drammatiche e di sovraffollamento delle carceri, pensiamo ai tanti detenuti che potrebbero scontare parte della pena all’esterno e che non possono farlo perché non sanno dove andare. La situazione non è più tollerabile. Il diritto all’abitare è sempre più ostaggio di politiche liberiste, che partono dalla sfruttamento e dalla precarietà lavorativa, passano per i tagli al welfare, e arrivano a fare della città il luna park degli investitori immobiliari.

E’ una Milano ben diversa quella che immaginiamo e vogliamo costruire. Una città che garantisca dignità, a partire da casa e lavoro. Una città che sottrae il diritto all’abitare ai meccanismi speculativi della città capitalista. Una città che include, che crea legami di comunità e solidarietà, in cui l’abbellimento dei palazzi, la creazione di servizi per le persone e di spazi verdi devono determinare benessere per tutti, e non l’aumento dei costi delle case e della vita del quartiere. In carenza di regolazione, infatti, qualsiasi azione pubblica orientata a migliorare la qualità degli spazi pubblici beneficia gli immobili circostanti, ed ha effetti dirompenti rispetto all’offerta di alloggi abbordabili. Le lavoratrici e i lavoratori, le persone in condizione di marginalità e fragilità hanno bisogno di risposte, a partire dal prossimo Piano del Governo del Territorio (Pgt).

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