L’eredità e l’attualità di Claudio Napoleoni. Appunti di un convegno - di Francesco Barbetta

Il 18 settembre scorso si è svolto il convegno “Claudio Napoleoni. Politica, economia, filosofia” presso la Sala Koch di Palazzo Madama sulla figura dell’economista Claudio Napoleoni. L’evento è stato organizzato dalla Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci, e ha visto la partecipazione di molti accademici e studiosi legati alla figura di Napoleoni come Riccardo Bellofiore, che dell’economista abruzzese è stato studente nell’anno accademico 1973-74, seguendo il suo corso di Politica economica e finanziaria.

Per Bellofiore, Napoleoni era prima di tutto un comunista, cioè colui che mette in campo una critica in atto del processo storico dato, ma era anche e soprattutto un economista. Il ponte tra queste due dimensioni si trova indagando la sua riflessione, articolata, di medio periodo e l’orizzonte di lungo periodo che è sempre coerente, capace di esprimersi in riforme strutturali figlie di una prospettiva critica e di superamento del sistema in quanto tale. Non possiamo chiamare questo approccio riformista, perché non possono esistere riforme senza tenere dentro una prospettiva di fuoriuscita dai rapporti presenti di dominio e sfruttamento. L’essere comunista di Napoleoni si condensa nell’idea della politica come strumento di liberazione, oltre le appartenenze partitiche.

Lo scopo del convegno è quello di misurarsi con il pensiero dell’economista abruzzese e metterlo a confronto con l’attualità. Riesce in questo l’intervento di Anna Maria Simonazzi che si concentra su tre punti chiave: la crisi di realizzazione del plusvalore, il ruolo contraddittorio della rendita, e la necessità di invertire il rapporto tra mezzi e fini.

La crisi di realizzazione si manifesta nell’eccedenza della produzione rispetto alla domanda, richiedendo un consumo improduttivo, che esaspera le distorsioni del capitalismo. Napoleoni evidenzia il ruolo della rendita come fattore di equilibrio, ma sottolinea anche la sua funzione di detrazione di profitti, creando un conflitto con gli investimenti.

Per superare queste contraddizioni, Napoleoni propone una politica di programmazione e riforme, finalizzate a sostituire il consumo improduttivo con la spesa pubblica produttiva. Per raggiungere questo scopo viene proposto un modello di sviluppo alternativo, ben ancorato nella tradizione italiana di economisti che proponevano non una semplice politica di domanda ma volevano incidere sulla composizione della spesa e la qualità dell’intervento pubblico, per modificare la struttura dell’economia in generale. Un’economia che privilegi la soddisfazione dei bisogni sociali, la riduzione del tempo di lavoro, anche a costo di vedere una riduzione dei salari dei lavoratori, e un rapporto più armonico con la natura.

A queste conclusioni Napoleoni giunge anche attraverso una trasformazione del suo pensiero che lo porterà a rinnegare molti aspetti chiave del pensiero di Marx, come la teoria del valore-lavoro e da lì quella dello sfruttamento nel capitalismo, per far rimanere in piedi, come ricorda Stefano Breda, solo quella dall’alienazione.

Questo discorso si lega ad una problematica ripresa del pensiero di Heidegger negli anni ‘80 che lo porterà fuori dal marxismo, e a pensare come qualcosa di impossibile una liberazione dal dominio del capitalismo a partire dallo sviluppo delle forze produttive scatenate dalla stessa produzione capitalistica. Questa svolta deve molto alla sconfitta del movimento operaio italiano agli inizi di quel decennio.

Nonostante ciò, come ricorda Bellofiore, molte sono le questioni che mette sul tavolo Napoleoni e che possiamo affrontare attraverso il suo pensiero. Tre di queste sono la natura, il genere e le riforme. Il capitalismo, in tutte e tre le questioni, tende a sfruttare e ridurre le realtà sociali a sole “cose”, trasformando la natura in un mero costo, il genere in una fonte di profitto, e le riforme in strumenti per il controllo della classe operaia. Da questo discorso può emerge la necessità di un ripensamento del comunismo, non come mera crescita quantitativa ma come liberazione che riconosca il valore della natura, la dignità di tutti i tipi di lavoro, e che conduca a riforme realmente democratiche e liberatorie.

Un ultimo aspetto rilevante nelle riflessioni di Napoleoni riguarda il lavoro che, diversamente dagli economisti classici, non considerava un male necessario. Il lavoro può diventare l’attività che realizza l’uomo, ma solamente fuori dal contesto del capitalismo e del lavoro salariato. La questione di fondo non è liberare il lavoro o liberarsi dal lavoro, ma liberarsi dal lavoro salariato capitalistico ridefinendo il lavoro stesso.

 

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