Fermate Netanyahu prima che sia troppo tardi - di Milad Jubran Basir

L’aggressione del governo israeliano non si ferma a Gaza, che oramai è ridotta ad una zona invivibile da tutti i punti di vista, basta pensare ai numeri delle vittime che ha prodotto: si parla già di oltre 170mila tra morti e feriti, senza calcolare i dispersi. Netanyahu considera la sua operazione militare esaurita.

Da fine agosto l’aggressione israeliana si è spostata in Cisgiordania, inizialmente al nord, a Jenin e al campo profughi, poi quasi in tutta la Cisgiordania. Questa aggressione militare, che mira alla deportazione della popolazione del nord della Palestina, ha già prodotto, al 4 settembre, 39 morti palestinesi, 145 feriti e 185 arrestati e la demolizione totale del campo profughi che di fatto non esiste più. E non è da meno il centro storico di Jenin, che è stato arato letteralmente dai giganti bulldozer dell’esercito.

Va precisato che il campo profughi di Jenin è grande meno di un chilometro quadrato e la popolazione è stata evacuata con la forza. La stessa città di Jenin è circondata dall’esercito israeliano e sorvolata da aerei caccia e droni in modo continuo. Diversi combattenti sono stati uccisi dai missili, e con loro sono stati uccisi diversi bambini e anziani ad opera dei cecchini che sono insediati sui tetti delle case sparando a qualsiasi cosa che si muova.

La situazione in Palestina preoccupa molto tutti i paesi limitrofi e in modo particolare la Giordania, in quanto spesso indicata come luogo dove vanno deportati i palestinesi. Infatti il re Abdallah II ha manifestato la sua preoccupazione in diverse occasioni in questi giorni in merito alle intenzioni del governo di Tel Aviv di mettere in atto un sistema di deportazione forzata della popolazione palestinese oltre il fiume Giordano e cioè in Giordania, il suo paese. La politica di aggressione del governo Netanyahu e l’offensiva dei coloni, in un modo organizzato e armonico tra di loro, mira a cacciare contadini e pastori dalle loro terre per prenderne possesso, come è accaduto nel lontano 1948, ovvero la prima Nakba.

Dopo una settimana di attacco a Jenin, questa aggressione oramai coinvolge tutto il territorio dell’Autonomia palestinese dal nord fino a sud: nessun villaggio, città o campo profughi escluso.

Non solo in Palestina, anche il fronte del nord di Israele è sempre più caldo e Netanyahu stesso ha dichiarato che farà guerra a Hezbollah in Libano. Pertanto il rischio di una escalation della guerra è oramai concreto e inevitabile.

Netanyahu, oggi più che mai, si trova sotto pressione proveniente da varie parti, pressioni che temeva da molto tempo: dopo le varie mobilitazioni dei parenti degli ostaggi che non hanno mai smesso di manifestare, dopo la scesa in campo del sindacato israeliano Histadrut che il 2 settembre 2024 ha proclamato lo sciopero generale per costringere il primo ministro a concludere la trattativa con Hamas e portare a casa gli ostaggi ancora vivi, dopo il ritrovamento di sei ostaggi morti, dopo la posizione del capo dell’opposizione Yair Lapid e dopo la dichiarazione del presidente americano Joe Biden: “Io non tratto con Netanyahu, ma tratto con i miei omologhi del Qatar e dell’Egitto”. Va anche ricordata la posizione del secondo principale fornitore di armi ad Israele, la Gran Bretagna, la cui magistratura ha vietato la fornitura di oltre 30 tipi di armi a Netanyahu.

Lo spazio di manovra di Netanyahu è sempre più stretto, e quindi il rischio è la sua fuga in avanti mettendo tutti davanti ai fatti compiuti per evitare quello che temeva da sempre, cioè la fine della guerra e quindi la sua fine politica. Ma non solo. Netanyahu, di fronte a questa percorso, può agire in vari modi: portando avanti la deportazione forzata di massa dei cittadini palestinesi verso il regno Hascemita, creando una seconda Nakba, attaccando Hezbollah in Libano, e così la guerra coinvolgerà tutto il Medio Oriente compreso l’Iran, con tutte le conseguenzdel caso. Infine potrebbe compiere degli atti eclatanti, come l’assassino di personalità di primo livello anche all’interno del mondo palestinese, perché il suo vero scopo, oltre alla deportazione di massa, è quello di cancellare e demolire una volta per sempre l’Autorità Nazionale Palestinese che, nel bene e nel male, rappresenta il nucleo fondamentale del Stato palestinese.

Infatti, ad oggi, sono 149 gli Stati che hanno riconosciuto la Palestina e, con la Repubblica di San Marino che ha intrapreso il percorso per il riconoscimento, si arriva già a 150. Da aggiungere a questo il parere della Corte di Giustizia Internazionale e l’opinione pubblica mondiale, ragion per cui la Palestina sarà accolta all’interno dell’Assemblea Generale dell’Onu come Stato membro a pieno titolo come tutti gli altri.

Toccherà alla comunità internazionale fermare ulteriori piani disastrosi, disumani e criminali di Netanyahu prima che sia troppo tardi, perché qualsiasi strada intraprenda avrà conseguenze pesantissime, sul popolo palestinese in primis ma trascinerà nel baratro anche tutti i popoli della regione, nessuno escluso.

 

(4 settembre 2024)

 

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