Patria e impresa: la nuova educazione civica per la scuola di Valditara - di Raffaele Miglietta

Intanto aumenta il lavoro precario e si riduce il potere d’acquisto degli stipendi del personale della scuola.

Sta iniziando il terzo anno scolastico dell’era Meloni, e sempre più evidenti sono i segni con cui il nuovo governo - tramite il ministro dell’Istruzione e del merito Valditara - vuole imprimere la sua impronta al sistema scolastico nazionale. Si tratta però di segni marcatamente ideologici e di bandiera (nel vero senso della parola), che non migliorano la qualità e la funzionalità del sistema d’istruzione i cui problemi - vecchi e nuovi - abbandonati a sé stessi rischiano di acuirsi sempre più.

Probabilmente la summa degli interventi propagandistici che si stanno riversando sulla scuola è rappresentata dalle nuove “Linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica”. Si tratta di un provvedimento di cui non si avvertiva l’urgenza poiché le precedenti disposizioni sono solo del 2020 e non richiedevano particolari revisioni, se non quelle indispensabili per eventuali novità nel frattempo intervenute.

Ma da parte ministeriale l’esigenza delle nuove “Linee guida” evidentemente trova ragioni nell’urgenza di voler caratterizzare il nuovo corso scolastico con l’ideologia che contraddistingue la compagine politica ora al governo. Si tratta infatti di indicazioni che, fatto salvo il rispetto formale della Costituzione, propongono un mix valoriale che va da istanze identitarie e nazionalistiche (“la conoscenza dell’Inno e della Bandiera nazionale, come forme di appartenenza ad una Nazione”, “l’appartenenza alla comunità nazionale che è comunemente definita Patria”), fino a precetti economicisti e privatistici (lo “spirito di iniziativa e di imprenditorialità”, la “valorizzazione della iniziativa economica privata”, “l’importanza della proprietà privata”, “l’educazione finanziaria intesa come momento per valorizzare e tutelare il patrimonio privato”).

A fronte di questa temperie innovativa delle “Linee guida” – tra l’altro sonoramente bocciate dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione - ciò che non muta sono le carenze e i problemi strutturali che attanagliano la scuola, e che sistematicamente si ripropongono ad ogni inizio di anno scolastico. A partire dalla copertura degli organici, che mai come quest’anno risultano privi di personale titolare. Infatti sono stimati in almeno 250mila (più del 20% dell’organico) i lavoratori, tra docenti e personale Ata, che quest’anno saranno assunti a tempo determinato. Comportando non solo una precarizzazione delle condizioni di vita dei tanti supplenti coinvolti, anche dell’intero sistema scolastico che non è in grado di assicurare stabilità e continuità all’attività didattica.

Non meno precaria è la condizione retributiva dei lavoratori della scuola. A fronte delle promesse ministeriali di esorbitanti aumenti stipendiali, ad oggi di esorbitante c’è solo il ritardo con cui (non) si rinnova il contratto nazionale di lavoro scaduto già da due anni. In legge di bilancio per il triennio contrattuale 2022-24 il governo ha stanziato risorse pari ad un incremento stipendiale del 5,78%, a fronte di un’inflazione reale relativa al periodo del 18%.

In pratica si sta chiedendo ai lavoratori della scuola di rinunciare ai due terzi di tutela del potere d’acquisto. E questo quando è ormai risaputo che gli stipendi della scuola non solo sono tra i più bassi di tutto il settore pubblico (il 25% in meno rispetto alla media retributiva dei lavoratori pubblici), ma sono anche tra i più bassi in Europa: al culmine della carriera un docente italiano della scuola primaria percepisce il 22% in meno rispetto alla retribuzione media degli insegnanti europei dello stesso grado scolastico, il 15,8% in meno rispetto ad un docente della scuola media, e il 15% in meno rispetto ad un docente della scuola superiore.

A breve inizierà l’iter per la definizione della nuova legge di bilancio per il 2025. Se si vuole davvero valorizzare il lavoro di docenti e personale Ata, si stanzino le necessarie risorse aggiuntive per tutelare pienamente gli stipendi. Diversamente son chiacchiere, e non resta che la mobilitazione della categoria.

 

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