La Cgil, esperienza unica nel panorama sindacale italiano, europeo e per certi aspetti mondiale, si è dotata fin dai primi anni novanta del Novecento di un ufficio, strutturato sia a livello nazionale che in molte regioni e territori, che segue le tematiche di autodeterminazione della persona e di laicità dello Stato: parliamo dell’ufficio nuovi diritti.
In questo ambito la tematica della discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere è sempre stata centrale, oltre ad aver rappresentato la scintilla, l’atto di nascita dell’ufficio stesso: l’occasione, infatti, fu un caso di discriminazione in un’azienda bancaria nei confronti di un lavoratore “accusato” di aver partecipato a una delle prime manifestazioni per i diritti delle persone Lgbtqia+ e perciò fatto oggetto di procedimento disciplinare per essere venuto meno ai doveri di “decoro” (questa in linea di massima la motivazione che con l’attuale sensibilità fa, per fortuna, un po’ sorridere).
Da quel momento la nostra presenza su questi temi, oltre che su tutte le questioni di laicità e autodeterminazione, ci ha accreditato come soggetto amico della comunità e dell’associazionismo con i quali si è sviluppato un rapporto costante, fruttuoso, improntato alla massima collaborazione nel rispetto dei ruoli assegnati al sindacato per un verso e all’associazionismo dall’altro.
La notizia, dunque, della sottoscrizione del Protocollo d’intenti tra la nostra organizzazione e le associazioni più rappresentative della comunità Lgbtqia+ non giunge né inaspettata né come un fulmine a ciel sereno: in moltissime situazioni ci troviamo oggi a parlare di rainbow-washing (o, parallemente di pink-washing) nei confronti di aziende o organizzazioni che ritengono utile dal punto di vista del marketing, o banalmente per un aspetto reputazionale, ammantarsi di un atteggiamento “amico” nei confronti dell’attivismo Lgbt+ o femminista. Per poi, magari, agire comportamenti di tutt’altro segno nelle prassi aziendali.
Un’accusa che certo non può essere mossa alla nostra organizzazione che, appunto, in tempi non sospetti, in cui la presenza su quei temi non attirava né simpatie né buona reputazione, ha sempre ritenuto che i temi del lavoro in senso stretto non fossero scindibili da quelli dei diritti della persona ma dovessero necessariamente essere coniugati congiuntamente: come dire? La contrapposizione tra diritti sociali e civili la lasciamo alle destre estreme che vorrebbero soltanto disattendere gli uni e gli altri mettendo le lavoratrici e i lavoratori in artificiosa contrapposizione con chi fa attivismo per i diritti civili, quasi che i primi fossero creature mitologiche che vivono di solo lavoro.
Se dunque la notizia di quel protocollo non sorprende chi conosce e frequenta da sempre la nostra organizzazione, questo nulla toglie alla fondamentale importanza di quel passaggio: non solo perché si certifica una comunanza di intenti e percorsi che diventerà impossibile disattendere, non solo per la concomitanza con la data del 28 giugno, anniversario dei moti di Stonewall e giorno dell’Orgoglio per la Comunità Lgbtqia+, ma anche da un punto di vista della comunicazione e della rappresentazione pubblica della realtà.
Bisogna ricordare infatti che, quando giornali e opinionisti tirarono il bilancio del primo anno di governo di estrema destra, fatte salve pochissime eccezioni, il tema dell’attacco ai diritti della comunità Lgbtqia+ sparì dai radar: eppure quel tema, centrale nelle politiche “far right” in tutto il mondo ormai da un decennio, rappresentava un leitmotiv nell’attacco ai diritti. Come dimenticare l’accanimento contro le famiglie omogenitoriali, culminato nella circolare ministeriale che apriva il campo ai tentativi giudiziali di sottrarre una delle due figure genitoriali a bambine e bambini registrati alla nascita con doppia maternità? O l’altra circolare che tentava di imporre lo stop alle carriere alias nelle scuole? Insomma, una colpevole dimenticanza a cui non è estranea una inconfessabile indifferenza o, peggio, sintonia su quei temi da parte di aree politiche e culturali che ne dovrebbero essere indenni.
La nostra organizzazione ha invece colto quell’urgenza, quella centralità del tema nelle politiche dell’estrema destra integralista, reazionaria e confessionale e ha cercato una connessione ancor più forte di prima con quella comunità e con l’attivismo Lgbtqia+.
Il Protocollo ha quel significato e vuol certificare con assoluta chiarezza che l’opposizione rispetto all’attacco ai diritti che il governo italiano sta quotidianamente praticando non può prescindere dalla difesa, anche, dei diritti della persona e del diritto all’autodeterminazione.
Come recitava lo slogan del sindacato europeo per il 17 maggio: i diritti Lgbtqia+ sono diritti umani e sono diritti sindacali.
Il documento nella sua interezza è leggibile qui
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