Droghe: contro le evidenze e le politiche Onu, il governo gioca sempre più duro - di Denise Amerini

Il 26 giugno si celebra la giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga, istituita dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1987. Da 15 anni, in questa data, un vasto cartello di associazioni ed organizzazioni della società civile - che vede insieme Cgil, Antigone, Forum droghe, Cnca, Arci, Società della ragione - presenta il Libro Bianco sulle droghe, quest’anno intitolato “Il gioco si fa duro” (https://www.fuoriluogo.it/wp-content/plugins/download-attachments/includes/download.php?id=42424).

Il libro è uno strumento importante per l’analisi dei dati, soprattutto per quanto riguarda il sistema penale. I dati che emergono sono davvero impressionanti. Dimostrano con assoluta evidenza i danni delle politiche incentrate sul proibizionismo e la criminalizzazione di ogni comportamento legato all’uso di sostanze: la normativa vigente è il principale strumento di ingresso in carcere, senza non ci sarebbe sovraffollamento.

Il 34,1% dei detenuti si trova in carcere per la legge sulle droghe, il doppio rispetto alla media europea, e di questi solo 994 lo sono per associazione finalizzata al traffico illecito. Al 31 dicembre dello scorso anno il 28,9% dei detenuti era certificato come tossicodipendente. Le misure alternative sono in crescita, ma si aggiungono alle misure restrittive in carcere, diventando di fatto una alternativa alla libertà piuttosto che alla detenzione. In costante aumento anche i minori segnalati, che entrano in un percorso sanzionatorio e stigmatizzante, la quasi totalità per uso di cannabinoidi: la guerra alla droga colpisce i giovani e la sostanza più leggera.

I dati che il Libro Bianco evidenzia con estremo rigore e chiarezza confermano la necessità di intervenire con la modifica del Testo Unico sugli stupefacenti, depenalizzando alcuni reati minori, regolamentando legalmente la cannabis, come già altri stati anche in Europa, compresa la Germania, stanno facendo.

Nonostante i dati e le evidenze dimostrino chiaramente gli effetti fallimentari delle politiche centrate sulla guerra alla droga, in occasione della giornata del 26 giugno il governo ha presentato la relazione al Parlamento, proseguendo in maniera ancora più determinata sulla strada del proibizionismo più esasperato. Ma proprio i dati che presenta con modalità allarmistiche, volendoli leggere correttamente, e contestualizzandoli, smentiscono quanto il governo stesso sostiene.

Il sottosegretario Mantovano, presentando il rapporto, ha evidenziato tre fattori: l’aumento dei consumi e delle sostanze, la diminuzione dell’età di primo utilizzo, l’incremento del principio attivo. Ha parlato della scarsa consapevolezza di quanto ogni droga faccia male, equiparando di fatto la cannabis e tutte le sostanze. Questo nonostante i dati ufficiali parlino di una seppur lieve diminuzione dell’utilizzo di cannabis. Ma soprattutto, nonostante le evidenze, gli studi e i numerosi contributi di operatori ed esperti che dimostrano come l’utilizzo di cannabis da parte dei giovani possa essere assolutamente transitorio e controllato, come gli effetti dell’uso di sostanze siano diversi a seconda delle stesse, e soprattutto del contesto in cui vengono usate. Negando anche l’evidenza che l’incremento del principio attivo è legato proprio al mercato illegale, fuori da ogni regola e controllo, che ha tutto l’interesse a mettere in commercio sostanze sempre più additive.

Se i consumi sono aumentati, nonostante la guerra alla droga dichiarata e praticata, vuol dire che le politiche proibizioniste, esclusivamente repressive, hanno fallito. I dati del governo sono lì a dimostrarlo. La guerra alla droga altro non è che la guerra ai consumatori. Indipendentemente dal tipo di consumo: accanto ad un consumo problematico esiste un consumo controllato; l’abuso spesso è collegato a situazioni in cui mancano spazi di socialità, di aggregazione.

Si continua a rispondere ai bisogni, ai desideri dei giovani con la repressione, con la criminalizzazione, come dimostrano i decreti “Rave” o “Caivano”. E si producono iniziative, come la campagna promossa in questi giorni, “Fermati, pensaci un minuto”: uno spot che mostra una assoluta assenza di visione, che parla un linguaggio estraneo ai giovani, che nessun giovane prenderà minimamente in considerazione.

Ė un ritornello logoro quello che vuol descrivere strumentalmente, agitando paure, chi prova a proporre alternative alla repressione ed alla proibizione come ‘favorevole alla droga’: i dati, sia quelli del Libro Bianco che quelli della relazione al Parlamento, dicono di quanto sia indispensabile un profondo cambiamento, che questo governo però non ha nessuna intenzione di mettere in campo. Non per nulla, ha anche cancellato i seppur parziali risultati della Conferenza di Genova.

E allora oggi più che mai è necessario agire, per fermare la deriva populista, panpenalista, autoritaria, ogni giorno più evidente. È necessario un cambio di paradigma, a partire dalla legalizzazione della cannabis, dalla promozione di politiche di riduzione del danno, basate sulla giustizia e sui diritti umani, come sostiene anche l’Onu con la risoluzione di Vienna del marzo scorso.

 

 
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