Arnaldo Cestaro, un uomo buono, un comunista. Ha fatto condannare l’Italia per le torture alla Diaz - di Gianluca Schiavon

Arnaldo Cestaro, scomparso qualche giorno fa all’età di 85 anni, era un compagno della ‘campagna’ vicentina, viveva ad Agugliaro, paesino di poco più di mille abitanti tra colli Berici ed Euganei. Aveva creato una piccola attività di riciclo di materiale ferroso, era stato nel Pci, in Rifondazione comunista fino alla morte, ma potrebbe essere definito un anarco-comunista e per chi lo conosceva, a cominciare dai compaesani e dai parenti, sapeva essere un uomo di eccezionale generosità. La sua storia di militante è ricchissima e arriva fino a poche settimane fa. Ricorderò la sua vita dal fatto cui è inscindibilmente legata: la repressione nei confronti della contestazione del G8 2001. Si trattò di una contestazione su più piani di radicalità, su più temi, dunque, in più giorni.

Noi Giovani Comunist@ nel ‘laboratorio politico e generazionale’ dello stadio “Carlini” eravamo arrivati a Genova all’inizio di quella terza settimana di luglio, avevamo già partecipato alla meravigliosa manifestazione sui migranti giovedì e avevamo subito i forsennati attacchi di via Tolemaide del tragico 20 luglio, con l’indimenticato lutto di Carlo Giuliani.

Molte altre compagne e molti altri compagni si concentrarono e manifestarono quel venerdì in altre parti della città, altre e altri, infine, arrivarono per la manifestazione di sabato 21 luglio.

Arnaldo era uno dei tantissimi giunti a Genova per la manifestazione di sabato anche dalle zone meno tradizionalmente ‘rosse’, si pensi che nella sola ‘sua’ provincia di Vicenza erano stati riempiti ben venti pullman. ,

Arnaldo aveva assistito a una manifestazione di oltre 150mila persone spezzata a metà per volontà dei vertici delle forze dell’ordine e caricata in entrambi i tronconi senza un’apparente logica. Fu, tuttavia, proprio quella notte del 21 luglio alla Diaz-Pertini che vide, lì per lì rendendosene poco conto, il più esecrabile attacco allo Stato di diritto da parte delle forze di pubblica sicurezza, poi processate e condannate. E conobbe sulla sua pelle, per usare i termini di un imputato-poliziotto nell’istruttoria dibattimentale, la “macelleria messicana”: al compagno sessantaduenne furono rotte dieci costole, un braccio e una gamba.

Ora non solo i libri ricordano la menzogna che proprio in quella scuola ci fossero pericolosi black-bloc, la fabbricazione di fonti di prova e il raid su donne e uomini inermi, ma sono i fatti su cui si fondano le sentenze di condanna dei vertici dell’ordine pubblico italiano. Restano anni di impegno, di isolamento e finanche di minacce nei confronti dei pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini e l’attività di indagine a supporto dei magistrati compiuta per le persone offese, diventate poi parti civili, dai difensori, molti provenienti dal ‘Genoa Legal team’ e dai Giuristi democratici.

Arnaldo è stato una fonte inesauribile per ristabilire la verità processuale, ed è stato anche un testimone di come quelle giornate di sospensione dello Stato di diritto non potessero essere ascritte solo ai vertici di Polizia e Carabinieri italiani. Le direzioni strategiche dell’‘intelligence’ del G7 - la Russia era appena entrata nel giro dei potenti - avevano deciso che il movimento dei movimenti, con la sua carica ricompositiva tra lotte parziali, andasse arrestato perché avrebbe potuto contrastare la rivoluzione passiva nell’ambito politico-istituzionale e socio-economico.

Lo ‘stato d’eccezione’ generato a Genova metteva in luce il ruolo di comprimaria della politica italiana, mentre squarciava il velo sulla vischiosità degli apparati dello Stato a denunciare le responsabilità di quanto accaduto e la contiguità di settori della magistratura nei confronti di reparti delle forze dell’ordine militari e civili.

Arnaldo sosteneva spesso come fosse mancata la lealtà allo Stato democratico costituzionale da parte degli apparati dell’ordine pubblico, per questo non fu soddisfatto delle sentenze definitive della magistratura italiana. Il ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo ha portato, invece, alla sentenza storica del 7 aprile 2015 (giorno non sempre nefasto) della IV Sezione. Era stata condannata l’Italia di aver sottoposto Arnaldo a tortura e a trattamenti disumani e degradanti (art.3 Cedu), conseguentemente veniva denunciato il vuoto nel codice penale in tema di tortura, benché l’Italia avesse ratificato la convenzione Onu nel 1989, e il vuoto in tema di riconoscimento del singolo agente di pubblica sicurezza.

Arnaldo aveva vinto su tutta la linea! La sentenza denunciava persino lo scandaloso silenzio circa la carriera seguente di troppi funzionari e dirigenti condannati.Ci fosse in Italia oggi qualche ‘vecio’ in più come Arnaldo Cestaro, la malattia della democrazia sarebbe meno grave.

 

 
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