Tra pizzica e panzerotti, un G7 senza visione e proposte - di Monica Di Sisto

Il C7 della società civile: “Impegno insufficiente nei confronti dei nodi strutturali”.

Sette grandi in tono minore, nonostante un vertice pugliese immaginato come una telenovela geopolitica. Una “mancanza di visione” ormai cronicizzata, che si traduce, più gravemente, in un “impegno insufficiente nei confronti dei nodi strutturali alla radice delle crisi di oggi e di domani”. È questa l’analisi che il Civil7 (C7), coordinamento ufficiale della società civile che si confronta con i G7 e i G20 - mettendo in rete i rappresentanti di oltre settecento organizzazioni in più di 70 Paesi del mondo - ha condiviso agli esiti del vertice di Borgo Egnazia. Un vertice che, oltre a qualche passo di pizzica e pasto locale, non è riuscito a trasmettere un piano chiaro e finanziato delle misure più urgenti da mettere in campo.

La constatazione di fondo del C7 è che la profondità delle disuguaglianze, la violazione dei diritti umani, le minacce al pianeta, la fragilità della pace globale che si registrano in questa fase, richiedono la massima urgenza e concrete azioni di cooperazione multilaterale. È necessaria una “nuova agenda di pace” per superare l’attuale policrisi che colpisce in particolare le donne, i bambini, i giovani e le persone più emarginate.

Parliamo di una proposta in grado di garantire un futuro di diritti e di sviluppo sociale e personale per tutti, costruendo la fiducia nel rispetto di regole condivise, quali il diritto internazionale, il diritto internazionale umanitario (Diu), i diritti umani e l’Agenda 2030, consolidando il ruolo degli organismi multilaterali internazionali chiamati a far rispettare queste regole, evitando doppi standard e attacchi alle istituzioni. La sicurezza collettiva e condivisa deve essere vista come un pilastro della “pace positiva”, perseguendo la sicurezza reciproca invece che a scapito di un altro Stato.

Dal punto di vista della dimensione più concreta delle risorse, il comunicato finale del G7 riconosce l’aumento del peso del debito, ma promuove una semplice attuazione di un quadro comune di monitoraggio, un processo che si è rivelato insufficiente nel fornire una risoluzione concreta del debito nei Paesi a medio-basso reddito, ma che sarebbe inadeguato anche ad affrontare la crisi debitoria che assedia le nostre finanze nazionali. Inoltre, la citata “Global Sovereign Debt Roundtable” (Gsdr), cui è delegata la governance della annosa vicenda, è ancora uno spazio esclusivo, in cui non tutti i Paesi partecipano con pari dignità e presenza.

Il C7, dal canto suo, ha riaffermato la annosa richiesta di superare il quadro comune per arrivare ad elaborare una cornice giuridica multilaterale del debito in cui sia coordinato un processo guidato da non creditori. Un elemento chiave per una rinnovata architettura finanziaria internazionale, in grado di rispondere ad un’analisi complessiva dei bisogni, compreso anche, ma non solo, quel re-indirizzamento dei crediti maturati a interventi per la resilienza climatica che possono, facilmente, tradursi in aiuti legati e ulteriore colonizzazione tecnologica e infrastrutturale da parte delle aziende collegate ai Paesi o ai soggetti creditori.

Avremmo bisogno di una tassa globale sui super ricchi, come propone il G20 a presidenza Lula, ma anche di un’economia più equa a partire da un sistema fiscale più omogeneo e trasparente a livello internazionale, che coinvolga società civile e sindacati in un monitoraggio pubblico di prelievi e allocazioni.

A livello più generale, i paesi del G7 dovrebbero dimostrare più coraggio morale e volontà politica nello scegliere la solidarietà e la giustizia rispetto alla concorrenza, e riconoscere la loro responsabilità storica nel mobilitare tutte le risorse e le capacità possibili affrontando le cause profonde dell’insostenibile sistema economico globale che sta consumando se stesso.

Si ridurrebbe, in questo modo, la necessità di assistenza umanitaria, sostenendo il processo verso un trattato delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, con l’obbligo di due diligence come nuova normalità e l’attuazione di un quadro di politica commerciale multilaterale più equo per completarlo. Riducendo al minimo la dipendenza dai combustibili fossili, mettendo in sicurezza i sistemi alimentari e sanitari globali, riducendo i conflitti e rispettando gli obblighi giuridicamente vincolanti per il disarmo nucleare.

Fra un presidente degli Stati Uniti anziano, meno lucido di quanto richiesto dalle sue responsabilità, i presidenti di Germania e Francia affondati in Patria, e la presidente del Consiglio italiana più attenta al cambio d’abito che alla sostanza delle decisioni, l’esito del vertice pugliese è stato insufficiente rispetto alle necessità della fase. Abbiamo tempo fino a dicembre per continuare a reclamare più attenzione e più sostanza.

 

 
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