Nell’ultimo mese e mezzo è emersa una nuova mobilitazione in tutto il mondo, che ha denunciato con forza le complicità del sistema accademico con l’apartheid ed il genocidio del popolo palestinese perpetuati da Israele. Dalla rinominata Hind’s Hall (in onore di Hind Rajab, bambina palestinese di sei anni uccisa dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza il 24 gennaio) della Columbia University a Barcellona, passando per i nostri atenei, gli studenti montano le tende per la Palestina.
Il movimento delle “acampadas” ha portato delle rivendicazioni semplici a partire dal cuore dell’impero, negli atenei foraggiati dall’esercito statunitense e che hanno esportato il sistema di ricerca “dual-use” (ovvero che combina finalità belliche della ricerca alle finalità civili) in tutto il mondo: interruzione degli accordi con atenei e enti di ricerca israeliani, condanna esplicita del genocidio, impegno attivo dell’università a sostegno del popolo palestinese. Infatti è stato dimostrato come la collaborazione strutturale del comparto dell’università e della ricerca con gli eserciti e l’industria militare, a causa delle politiche di disinvestimento pubbliche, sia diventata sempre più rilevante nei bilanci degli atenei e nelle collaborazioni scientifiche.
Questa collaborazione, però, ha assunto sempre più la forma di una “monocultura militare” che taglia le gambe a progetti di ricerca di prospettive differenti, che cela nelle omissioni dei testi completi degli accordi le vere finalità dei progetti, che non permette una contestazione vera e propria delle politiche di affiliazione alla filiera militare.
Alla lotta in piazza si accompagna la richiesta di prese di posizione ufficiali: l’Udu Firenze dall’acampada ha chiesto “una presa di posizione chiara e pubblica alla nostra Università per il cessate il fuoco in Palestina e di condanna esplicita del genocidio che il regime israeliano sta perpetrando contro il popolo palestinese. Abbiamo richiesto la revisione degli accordi con le aziende belliche, la rescissione degli accordi con le università israeliane e l'istituzione di una commissione incaricata di valutare e deliberare sugli accordi con atenei o enti terzi coinvolti a qualsiasi titolo in attività violanti i diritti umani e le norme di diritto internazionale”.
Tutto ciò si è legato alla battaglia pluridecennale che il movimento studentesco porta avanti nel denunciare la connivenza degli atenei italiani con le azioni di espulsione e requisizione delle terre del popolo palestinese, connivenza che passa anche dai progetti di ricerca sulle risorse idriche e sulla terra con diversi atenei israeliani riproposti dall’ultimo bando di partenariato scientifico tecnologico a firma Maeci-Mur, denunciato da oltre 2.800 personalità dell’accademia.
Le riflessioni sono condivise anche da Udu Venezia: “Le nostre richieste sono chiare: vogliamo poter studiare in atenei che rappresentino i valori degli studenti che li vivono ogni giorno. Serve più trasparenza nei rapporti che intercorrono tra luoghi del sapere e aziende, come è fondamentale che la ricerca smetta di essere asservita alle imprese finanziatrici di guerre. Eppure Iuav non ha ancora dato risposte soddisfacenti e nemmeno Ca' Foscari, dove la rettrice peraltro fa parte del comitato scientifico di Med-Or, da cui non si vuole dimettere”.
L’ultima acampada organizzata in ordine cronologico, quella di Forlì, ha scritto nel suo comunicato: “E' stato dichiarato, da alcuni dei docenti presenti in aula, il pieno sostegno a mantenere gli accordi fra il nostro ateneo e le università israeliane. Le stesse università che sono da sempre controllate e complici del regime di apartheid israeliano, all’interno delle quali moltissimi studenti palestinesi vengono arrestati ogni anno con accuse infondate, e dove i comitati di rappresentanza politicizzati vengono definiti come organizzazioni illegali, i cui partecipanti vengono incarcerati senza accuse formali e processi”.
La prima vittoria è arrivata dall’Università di Palermo, là dove era nato, nel 1989, il movimento della Pantera. Il Senato Accademico ha votato una mozione che interrompe tutti gli accordi di collaborazione e mobilità. Una vittoria che non è passata inosservata, e che ha scatenato le ire della ministra dell’Università Bernini.