Servono politiche e strumenti efficaci per fermare la violenza contro le donne - di Max Ravanetti

Tra tutte le emergenze sociali che oggi siamo costretti a vivere e leggere, spicca quella delle molestie e violenze di genere. Personalmente le affronto quotidianamente e trovo lo Stato, e la legislazione, molto carenti sul tema. Vigono la retorica, gli slogan, l’associazionismo che non affonda, i centri antiviolenza e le forze dell’ordine, senza strumenti legislativi efficaci. Soprattutto i servizi sociali, che vengono da tempo decimati nel personale, si trovano senza strumenti adeguati.

Ma poi concretamente cosa accade? Spesso leggiamo, nei casi di femminicidio: “Aveva denunciato più volte”. E affrontando il tema, mi sono imbattuto in tanti casi di donne che dopo aver denunciato si trovano abbandonate a sé stesse. Qual è l’utilità del “codice rosso” o delle associazioni maschili e femminili che dicono di occuparsi della violenza di genere? Se alle denunce non segue un percorso puntuale di aiuto nei confronti della vittima (ma anche dei violenti), non consigli paterni ma strumenti reali che lei possa usare, allora a che serve?

A cosa serve una denuncia, se lui continua a poter accedere alla vita della donna? Non fa che acuire il problema. Il violento diventa ancora più violento, addirittura penserà che lei abbia tradito la regola dell’omertà che vige in questi casi. “Mi stai rovinando la vita”, dicono spesso i maschi tra insulti e minacce, quando va bene, e quando va peggio la picchiano o, peggio ancora, la uccidono.

Per questo il “codice rosso” mi sembra mera propaganda sulla pelle delle donne che spesso si trovano ad affrontare la violenza secondaria. Ad oggi ci sono donne che vivono dei veri e propri incubi pur avendo denunciato, ma di questo problema immediato nessuno si occupa. La prossima volta che una donna morirà ammazzata dopo aver denunciato molte volte, cosa che accade troppo spesso, chiediamoci perché. Non è colpa della vittima ma è l’inefficacia dello Stato che provoca quella morte.

Potrei portare esempi di chi ha denunciato e, viste le leggi poco puntuali o che diano strumenti di intervento, il consiglio facile facile che hanno dato le istituzioni è ... cambiare casa. Le istituzioni quindi ti consigliano di andartene. Ma che accade se non fai in tempo a procurarti, tu da sola, un altro luogo di abitazione? Sarebbe questa la magnifica efficienza del “codice rosso”?

Ribadisco l’inutilità di provvedimenti di facciata, inefficaci e intrisi di paternalismo, che i governi redigono e approvano senza aver consultato chi di donne vittime di violenza di genere si occupa davvero. A che serve la denuncia, se l’unica cosa che si può fare è consigliare alla vittima di scappare via? E perché non vengono dati strumenti di collegamento tra le forze dell’ordine e i centri antiviolenza, ma piuttosto si tagliano fondi e formazione? L’associazionismo su questo è paternalista tanto quanto uno Stato: ne segue proprio le orme. Mentre amministrazioni e Stato tagliano risorse a chi da sempre si occupa di salvare la vita delle donne per davvero, e le associazioni continuano a specchiarsi con quintali di retorica, centinaia di donne vengono insultate, minacciate e picchiate dopo aver denunciato più volte.

Il femminicidio è la conseguenza tragica: uccise per negligenza dello Stato. Senza aver detto prima che spesso molti maschi mettono in mezzo i figli per vendicarsi della ex e lì tutto diventa anche peggio, se esiste un peggio.

Il tema è spinoso ed endemico nella nostra società. Le forme di violenza sulle donne prendono pieghe subdole e aspetti psicologicamente sfiancanti: esistono infatti altre forme di violenza conseguenti. Il 37% delle italiane non ha un conto corrente, e il “reddito di libertà”, istituito nel 2020 per le vittime di violenza, è passato da un fondo di 3 milioni di euro a 1,8 milioni, in un Paese in cui una delle forme di violenza insieme a quella verbale e fisica è quella economica: ecco perché gli interventi devono essere multidimensionali.

 

 
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