Il 25 maggio a Napoli 160 organizzazioni della “Via Maestra”, fra cui la Cgil, scendono di nuovo in piazza per la Costituzione, la democrazia, la pace, il clima, la giustizia sociale, il lavoro dignitoso, l’ambiente e un futuro sostenibile, il contrasto alle riforme istituzionali - autonomia differenziata e premierato - che aumentano le disuguaglianze e mortificano la partecipazione democratica.
Per quanto riguarda l’ambiente la situazione non potrebbe essere più critica. Stiamo vivendo una triplice crisi globale: cambiamento climatico, inquinamento e perdita di biodiversità. Con conseguenze drammatiche: perdita di vite umane, danni alla salute, aumento disuguaglianze, danni economici e occupazionali.
Eppure, in questo disperato contesto il sistema continua a muoversi nella direzione del baratro. Ne è ennesima riprova la riunione dei ministri di Ambiente, Clima e Energia del G7, svolta a fine aprile sotto la presidenza italiana. Il documento finale riconosce, solo a parole, la gravità e l’urgenza di intervenire per affrontare le tre crisi ambientali, che rappresentano una minaccia globale allo sviluppo sostenibile e aggravano le condizioni di povertà e le disuguaglianze, le condizioni sanitarie, l’accesso all’energia, la sicurezza e la stabilità geopolitica.
Il documento però non assume di conseguenza l’impegno di uno sforzo maggiore e più rapido da parte dei paesi del G7, quelli con maggiori responsabilità storiche e pro-capite, e che hanno le capacità tecnologiche e finanziarie per poter intervenire fin da subito.
Il rapporto del Climate Analytics ci mostra, ad esempio, che i primi a non essere allineati all’obiettivo di 1,5°C sono proprio i paesi del G7, che detengono il 38% della ricchezza e sono responsabili del 21% delle emissioni globali. Gli impegni di questi paesi si attestano su una riduzione del 40-42%, al 2030 rispetto al 2019, ma riusciranno a ridurre solo il 19-33% delle emissioni, mentre dovrebbero contribuire con una riduzione di almeno il 58%.
Il documento del G7 riafferma inutilmente molti impegni già assunti nelle conferenze sul clima e sulla biodiversità e negli 'Sdgs', ma non fa nessun passo avanti, né fa del G7 la guida del processo di giusta transizione ecologica con un livello più alto e accelerato di impegni dell’Accordo di Parigi sul clima e di Montreal sulla biodiversità, neppure sul versante finanziario e dell’aiuto ai paesi in via di sviluppo.
In ambito Ue, il Green Deal perde pezzi. È un processo iniziato con l’inserimento del nucleare e del gas nella tassonomia degli investimenti sostenibili e con la deroga al principio di non arrecare danni all’ambiente per gli investimenti in infrastrutture per il gas finanziati con il RepowerEu. Con l’avvicinarsi delle elezioni c'è stato un crescendo di passi indietro e di allentamenti sulla tutela ambientale e il contrasto al cambiamento climatico: mancata riduzione dei pesticidi, mancata approvazione della direttiva per il ripristino della natura, deroghe sulla direttiva per la qualità dell’aria, ecc.
Inoltre la riforma della governance economica europea, che ha reintrodotto parametri di austerità, è incompatibile con la necessità di investimenti comuni europei per lo sviluppo di infrastrutture e filiere per la transizione ecologica e digitale e con l’obiettivo della piena e buona occupazione, che può essere raggiunta solo con investimenti adeguati per le nuove tecnologie, la tutela dei beni comuni, la prevenzione, l’adattamento al cambiamento climatico, il ripristino della natura.
Si parla invece di spesa comune per un’industria europea delle armi, aumento delle spese militari e riarmo.
In Italia il governo negazionista si oppone a tutte le politiche del green deal - ultimo in ordine di tempo il voto contrario al nuovo regolamento europeo sugli standard per le emissioni di Co2 dei veicoli pesanti – e blocca gli investimenti per l’ambiente e la riconversione ecologica. Inoltre sta adottando un Pniec che vuole fare dell’Italia un hub del gas e della cattura della Co2, che non rispetta molti dei target europei, e compie scelte di politica energetica incentrate sull’incremento delle fonti fossili. Infine non sviluppa politiche industriali e per la giusta transizione, e nega ogni forma di partecipazione democratica.
Al riguardo, basti pensare alle affermazioni di vari ministri che, ignorando pericolosità, costi insostenibili e tempi troppo lunghi, e soprattutto l’esito di ben due referendum, rilanciano il nucleare in Italia.
In questo quadro, dobbiamo rafforzare la nostra lotta per un radicale cambiamento di sistema che può partire solo dal basso, dai lavoratori, dalle comunità, e deve avere un obiettivo globale, inclusivo, che non lasci nessuno indietro. Una giusta transizione parte dal cessate il fuoco in tutte le guerre e dal disarmo, e con l’uscita dalle fonti fossili, il rispetto dei diritti umani e del lavoro, la piena occupazione e tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile, la giustizia sociale, l’equità, il superamento dei divari fra nord e sud del mondo, di ogni forma di sfruttamento, discriminazione, colonialismo e suprematismo.