I bulli arricchiti dovrebbero studiare la storia anziché pensare soltanto alle grandi abbuffate di profitto. Anche perché la Grande abbuffata, noto film di Marco Ferreri, è tutt’altro che a lieto fine. Il turbolento turbine turbocapitalistico del “compro tutto e tutti” ha talmente innalzato l’ego di un noto azionista delle montagne (non sue) da fargli perdere ogni freno inibitorio, al punto da risvegliare un sentimento di classe che da anni pareva sopito tra i liguri-apuani carraresi.
Se avesse studiato la storia, lui saprebbe che già i Romani, primi industriali del marmo, toccarono con mano la fierezza, la passionalità e la resistenza alla fatica degli Apuani e, non riuscendo a domarli, li deportarono in massa nel Sannio. Così come saprebbe che sul finire del XIX secolo vi fu un’insurrezione popolare, i moti del 1894, che vide le popolazioni apuane in prima linea nel rivendicare giustizia sociale e libertà contro chi voleva infierire a suon di tasse su un popolo affamato e sfruttato.
In quegli anni un sentimento di classe antipadronale, fortissimo proprio negli ambienti del marmo, vide nascere la Camera del Lavoro di Carrara, con tra i propri fondatori l’anarcosindacalista Alberto Meschi, che organizzò i lavoratori del marmo e li sostenne nella lotta che portò alla giornata lavorativa di sei ore e mezza, conquista epocale per quel momento storico.
Invece, nell’ignoranza ignorante di chi ignora, l’industriale si è lasciato prendere la mano e, con l’arroganza arrogante di chi si arroga il diritto di giudicare tutto e tutti, dall’alto dei suoi 76 milioni di euro di fatturato annuo ha emesso sentenza: i cavatori oggi non fanno un lavoro gravoso, stanno bene economicamente, e se si infortunano è perché sono deficienti. Per sua sfortuna il fuori onda è stato registrato da un canale televisivo nazionale.
Dovremmo ringraziare l’imprenditore per aver risvegliato finalmente tra gli apuani un sentimento di classe che sembrava sopito. Dovremmo ringraziarlo per aver portato alla ribalta delle cronache nazionali il disastro ambientale, lo scempio delle Alpi Apuane, che ogni giorno viene perpetrato nella nostra provincia. Invece no! Non possiamo e non vogliamo ringraziarlo, per rispetto ai nostri morti e alle loro famiglie, e non solo.
Carrara da sempre viene depredata delle proprie montagne da padroni in carne ed ossa che godono di profitti senza eguali, lasciano le briciole al territorio, e si permettono anche di dare da deficienti a chi produce i loro profitti. Grazie alle mobilitazioni e ad una concertazione istituzionale complessa si è riusciti, negli ultimi anni, ad arrivare a riforme legislative che provano a regolamentare l’estrazione e a trovare un equilibrio tra occupazione e ambiente.
Ma ora è giunto il momento di dire basta a chi rivendica la proprietà privata delle cave sulla base di un editto della duchessa Maria Teresa, antecedente al Regno d’Italia! Le montagne appartengono alla collettività e la collettività deve disporne. L’estrazione non produce soltanto ricchezza per pochissimi, ma devastazione e morte. Le montagne non ricresceranno e l’inquinamento delle falde acquifere ha prodotto danni irreparabili. L’ecosistema apuano non sarà mai più come prima e i morti non risorgeranno.
Oggi, grazie anche al risalto mediatico televisivo di Report, che con le registrazioni fuori onda ha messo a nudo un sentimento latente comune a buona parte della classe padronale apuana, abbiamo un’occasione unica per porre fine a questa deriva millenaria.
L’estrattivismo nelle Apuane rappresenta appieno il sistema di sfruttamento capitalistico: scempio ambientale, plusvalori da capogiro, sfruttamento di lavoratori e beni comuni non riproducibili. Un sindacato ha il dovere morale, come atto primario, di organizzare lavoratori e lavoratrici e di indirizzarli nella lotta per le conquiste sociali. La Camera del Lavoro di Massa Carrara, coinvolgendo anche Cisl e Uil, sta adempiendo al proprio ruolo, come dimostra la grande partecipazione alla manifestazione del 24 aprile scorso. Una giornata di lotta, dove si sono respirate solidarietà per i familiari dei morti in cava, unione, dignità, passione ma anche rabbia.
Glielo abbiamo gridato in faccia al padrone davanti alla sua azienda: “Vergogna!”. E arrivati davanti alla sede di Confindustria con le nostre bandiere e i nostri striscioni abbiamo cantato “Figli dell’officina”, per ricordare a lorsignori che il filo rosso che lega le lotte apuane non sono ancora riusciti a reciderlo con i loro soldi e la loro arroganza.
I politici, in prima fila alla manifestazione del 24 aprile, siano conseguenti e dimostrino coerenza attraverso atti concreti in grado di invertire la rotta. Si pretenda davvero il rispetto di tutte le norme e si tolgano le concessioni a chi non lo fa. Si applichino sanzioni esemplari a chi compie reati ambientali. Le montagne e la collettività gridano vendetta, ognuno assolva al proprio compito.
La Cgil, a tutti i livelli, è chiamata a sostenere questa lotta: la battaglia non sarà né breve né semplice, ma è decisiva non solo per il territorio apuano, per tutti coloro che credono in un mondo migliore.