Spesso, quando si parla di ciò che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania, si utilizzano dei linguaggi e dei termini non corretti, come per esempio la “guerra” tra Israele e la Palestina o la “guerra” a Gaza. Quando si parla di Israele e Palestina, bisogna prendere in considerazione che la guerra di solito si fa tra due Stati con due eserciti alla pari. Per questo motivo non è il caso della Palestina, perché non c’è una guerra solo a Gaza, bensì ci sono un’aggressione e invasione sia a Gaza che in Cisgiordania.
Dal 7 ottobre a tutt’oggi, l’aggressione comprende anche la Cisgiordania: basta pensare ai posti di blocco dei soldati o attuati dai coloni (oltre 700) o al numero degli arresti che ha superato i 6.500 palestinesi, compresi bambini. In aggiunta a tutto questo vanno sottolineati i comportamenti e l’aggressività dei coloni contro i cittadini e le cittadine palestinesi.
Il numero dei coloni che vive in Cisgiordania oggi ha superato le 726mila persone distribuite in quattro tipologie di insediamenti: quelli grandi come Ma’ali Adumim situato ad est di Gerusalemme, Ofra situato tra Gerusalemme e Nablus, Ariel in Cisgiordania e Kariat Arbà. Questi insediamenti hanno raggiunto una dimensione territoriale e demografica simili a vere ed effettive città con oltre 25mila abitati.
In aggiunta a questi insediamenti, ce ne sono altri di dimensione minore e altri ancora che sono dei nuclei di insediamenti collegati tra di loro per un totale di 448 insediamenti. Una nuova forma di insediamenti che sta prendendo forma è quella legata ai pastori israeliani che occupano un terreno e allevano gli animali e che piano piano si espandano sia dal punto di vista territoriale che demografico.
Tutti questi insediamenti oggi rappresentano quasi il 43% del territorio della Cisgiordania, dove doveva nascere lo Stato della Palestina secondo gli accordi di Oslo firmati da Arafat e Rabin nel lontano 1993.
Si tratta di insediamenti illegali secondo il diritto internazionale.
Oltre alla confisca della terra il governo israeliano ha costruito una fitta rete stradale che collega questi insediamenti tra di loro isolando i centri abitati dei palestinesi. Il risultato finale è quello di creare un territorio a macchia di leopardo senza un’integrità territoriale, confiscando la terra ai palestinesi e impedendo loro di fatto ogni possibilità di creare uno Stato palestinese sovrano.
Oltre all’aggressività dell’esercito israeliano, questi coloni formano di fatto un esercito armato e senza alcun codice comportamentale: quindi formano posti di blocco, invadano i villaggi palestinesi, attaccano i centri abitati palestinesi, bruciano auto, case uccidono chi si trova in giro, come sta accadendo in una decina di villaggi ad est di Ramallah come Kufer Malek, Betin, Silwad, Der Jerir.
Questi attacchi sono programmati e pianificati finalizzati alla deportazione di massa dei palestinesi, attuando così una reale pulizia etnica. Purtroppo, la storia si sta ripetendo, stanno facendo come hanno fatto l’Haganah e altre organizzazioni sioniste nel lontano 1947, quando hanno cacciato migliaia di palestinesi dalle loro case con la forza e hanno distrutto decine e decine di villaggi palestinesi (Der Yassin, al Qastel per esempio). Si è verificata così la Nakba (catastrofe, in arabo).
Oggi questi coloni, protetti dall’esercito di occupazione israeliano, stanno seminando terrore in tutta la Cisgiordania. Due ministri dell’attuale governo israeliano provengono da questi insediamenti e dichiarano in modo palese di volere deportare i palestinesi in Giordania anche con la forza. Va ricordato che sono già stati divise più di 1.041 famiglie dalla valle del Giordano e mandate via, nonostante la protesta dell’intera comunità internazionale.
Di fronte a questa situazione la popolazione palestinese sta formando dei comitati popolari, per difendere come possono i propri villaggi dagli attacchi dei coloni.
Per evitare il disastro o la nuova Nakba occorre affiancare questi comitati popolari con un governo di unità nazionale che comprenda tutte le forze politiche, nessuna esclusa, con un programma fondato sulla resistenza popolare.
I palestinesi pretendono una presa di posizione da parte della comunità internazionale per fermare questo percorso che rischia veramente di portare a una nuova e drammatica Nakba.