L’ex rettore dell’Università Politecnica Marche, Sauro Longhi, è tornato a lanciare allarmi sul rischio di “perdere il futuro”, la prima delle sfide davanti a noi. Lo ha fatto denunciando sulla stampa locale marchigiana una vera e propria fuga dei giovani laureati dalla nostra regione. Tra i problemi, le retribuzioni generalmente basse, nel nostro territorio in particolare. A prescindere dai settori, compresi quelli con maggiori difficoltà a trovare collaboratori da coinvolgere nelle produzioni e nei servizi. Tanto è vero che ci si chiede giustamente da quali meccanismi siano regolati i livelli salariali, visto che l’incrocio tra domanda e offerta non spiega la situazione.
Le considerazioni proposte dal prof Longhi sono indubbiamente di grande interesse, e stimolano riflessioni più generali circa la condizione dei salari in Italia. Una condizione tale da rappresentare - oggi più di ieri – una emergenza che dovrebbe richiedere azioni prioritarie di intervento. Da parte di tutti. In quanto, al tempo stesso, questione di giustizia sociale, equità e sviluppo.
Recenti dati Ocse presentano un quadro crudo: il valore reale dei salari in Italia è diminuito nel corso degli ultimi 30 anni. Ciò chiama in causa responsabilità di una classe dirigente estesa, non solo del governo attuale, che pure deve farsi carico di tale difficoltà. Difficoltà che - non è un caso - incrocia lo smisurato aumento di diseguaglianze e povertà. Sono a rischio opportunità di sviluppo del Paese e la sua coesione sociale.
Il regime di bassi salari, in Italia, e la differenza con altri Stati membri dell’Unione europea (non solo Germania e Francia, ma anche Lussemburgo, Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi), non dipende dalla elevata tassazione, che pure pesa, né soltanto da livelli di produttività o da economie che non crescono abbastanza. Non esiste rapporto con la dinamica dei profitti. E delle rendite. Segno piuttosto di una grave patologia tutta nostra che penalizza il lavoro, quasi a rendere il salario figlio di un dio minore. Se non, piuttosto, conseguenza di un disegno lucidamente perseguito nel corso degli anni, contraddicendo gli indirizzi stessi della Carta costituzionale. Carta costruita attorno ai valori e all’etica del lavoro, centrali rispetto a un’idea di società delineata dai Padri costituenti che sembra - non certo da oggi - segnare il passo. Purtroppo.
Per riprendere il cammino, nell’interesse generale, si devono quanto meno rivedere priorità per un coerente e deciso cambio di rotta. Di sicuro ciò non avverrà in modo naturale. Almeno senza ridar forza ad un movimento in grado di sostenere la ripresa di un conflitto sociale.
È del tutto evidente che la stessa strategia sindacale deve essere rivista in questa prospettiva. L’intero movimento sindacale ha il dovere di interrogarsi e misurarsi davvero con la complessità e il livello dei problemi cui siamo giunti, per reagire finalmente con la necessaria determinazione a un declino generale altrimenti inarrestabile. Compito certamente arduo, ma non oltre rinviabile. Ancor più urgente per noi in particolare, sindacato soggetto di trasformazione sociale.
Da dove partire? Dai luoghi in cui le condizioni di lavoro sono più difficili e la forza disarticolata. E dai quali – forse - ci siamo allontanati. Non a caso da questo periodico si levano voci alte per richiamare tutti ad un impegno prioritario: unificare il mondo del lavoro, frammentato come non mai. Salvo però dover poi puntualmente registrare limiti, insufficienze e carenze, se non vere e proprie distrazioni, proprio nei luoghi dove l’azione dovrebbe concretizzarsi: nel territorio.
Non serve ripetersi sulla necessità di individuare un gruppo dirigente coeso e sensibile, affidabile e adeguato, capace di assumere e sostenere tali rivendicazioni. Ogni Camera del Lavoro dovrebbe sentirsi chiamata ad un serio monitoraggio delle realtà, individuando punti di attacco, programmi di intervento; verificando la coerenza dell’iniziativa rispetto ai risultati, certo graduali, ottenuti. Altrimenti continuare a porre, ad ogni congresso, prospettive e obiettivi altisonanti non farà che minare autorevolezza e credibilità dello stesso sindacato.