La difficile e fondamentale frontiera antimafia - di Gian Marco Martignoni Gian Marco Martignoni

Attilio Bolzoni, Controvento. Racconti di Frontiera, Zolfo, 2023, pagine 624, euro 22.

Attilio Bolzoni, dopo un fondamentale “apprendistato” al quotidiano palermitano “L’Ora”, ha svolto la sua attività per quarant’anni a “la Repubblica”, occupandosi delle mafie anche a livello internazionale, a partire da Cosa Nostra. Ora collabora al quotidiano “Domani” e recentemente, per il coraggioso editore siciliano Zolfo, ha pubblicato il libro “Controvento”, che raccoglie in quattordici capitoli una serie infinita dei suoi articoli d’inchiesta.

Si tratta di un libro, al di là della mole, assai scorrevole sul piano della lettura, anche se amaro e addirittura commovente per come Bolzoni ci restituisce le figure di chi ha combattuto Cosa Nostra in un profondo isolamento sociale, politico e culturale, pagando con la propria vita questo impegno testardo e smisurato.

Due fatti, che riguardano sia il mondo sindacale che quello imprenditoriale, sono indicativi del contesto in cui la magistratura, le forze dell’ordine e alcuni lungimiranti uomini politici si sono trovati ad operare a Palermo e complessivamente in Sicilia. Nel capoluogo di questa regione all’Ospedale Civico e Benefratelli la Cgil, in seguito alle denunce circostanziate alla segreteria del procuratore Gian Carlo Caselli sulle “ruberie” di ogni tipo, nel 1993 passò da 37 a 90 iscritti su 4.600 dipendenti.

Al contempo la vicenda di Antonio Calogero Montante, nominato nel 2008 Cavaliere del lavoro e presidente della locale Camera di Commercio, per diventare successivamente il 20 gennaio 2015 componente dell’Agenzia dei beni confiscati, in quanto paladino di una Associazione antiracket e antiusura di Caltanisetta rivelatasi fasulla, è decisamente eclatante, se si considera che nella sua inarrestabile scalata dei luoghi del potere era arrivato alla vicepresidenza di Confindustria con delega alla legalità. Infatti, sulla base delle rivelazioni del pentito Salvatore Domenico Di Francesco a proposito degli appalti pilotati nella zona in favore del Consorzio Asi, e le relazioni intessute dal “sistema Montante” con personaggi mafiosi e i palazzi romani, assieme ai suoi sodali Giuseppe Catanzaro, “re della monnezza”, e al raffinato Ivan Lo Bello, la magistratura ha condannato Montante a 14 anni di reclusione.

Ovviamente, a parte la rivista “I Siciliani giovani”, che nell’aprile del 2014 aveva segnalato i pericolosi legami di Montante con esponenti mafiosi, la stampa siciliana, che aveva promosso a pieni voti la retorica del nuovo corso della legalità, ha poi cercato di ridurre la faccenda, con tutti gli interessi economici sottostanti e le varie categorie della borghesia mafiosa coinvolte, ad una “semplice storia siciliana”.

D’altronde, come ha ben sottolineato a suo tempo Pietro Grasso, giudice a latere del Maxiprocesso concluso il 16 dicembre del 1987 con 19 ergastoli e 2.665 anni di carcere, codificando grazie all’operato di Giovanni Falcone il concetto di mafia precedentemente innominabile, “oggi comanda una nuova mafia legale che entra nel mondo degli affari e per fare gli affari ha bisogno della politica”.

E' in nome di questi affari, ma non solo, che l’elenco delle morti eccellenti è stato incredibilmente numeroso. A partire, con il 6 gennaio del 1980, da quella di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, da Bolzoni definita come “un omicidio preventivo e dimostrativo”, per giungere a quella “strategica” di Pio La Torre del 30 aprile 1982. Essendosi battuto, questo dirigente comunista, anche contro l’organizzazione paramilitare clandestina Gladio e i missili Cruise a Comiso, siamo sul piano di mandanti ben “oltre i confini mafiosi”, come durante il processo ha ben dichiarato la vedova La Torre.

Chi sono i mandanti è quindi il giusto interrogativo che assilla costantemente le riflessioni di Bolzoni, poiché l’inchiesta che ha interessato Giulio Andreotti nei suoi rapporti con Cosa Nostra, per il tramite di Salvo Lima, per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso, e il fatto che Silvio Berlusconi si sia avvalso della facoltà di non rispondere nel processo a Marcello Dell’Utri (condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno), nonché gli omicidi al tritolo di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, sono la palese dimostrazione che i rapporti tra Roma e Palermo, così come tra Milano e Palermo, sono sempre stati stretti e di natura criminale ed eversiva.

 

 
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