Nel dicembre scorso il Parlamento, nonostante il parere contrario della Conferenza Stato-Regioni e del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, ha approvato il ddl sul “Made in Italy” che contiene, tra l’altro, l’istituzione del Liceo del Made in Italy. Presentato con molta enfasi e retorica dalla presidente del Consiglio e dal ministro dell’Istruzione, il Liceo dovrebbe affiancarsi ai licei già esistenti e dovrebbe sostituire progressivamente il Liceo delle Scienze Sociali, istituito solo 25 anni fa.
Nonostante il supporto mediatico, i risultati sono stati obiettivamente molto deludenti. A fronte di un indubbio apprezzamento di studenti e famiglie del Liceo delle Scienze Sociali (attivato in oltre 400 scuole e frequentato da più di 75mila studenti) il Liceo del Made in Italy è stato approvato da meno di 100 istituti e scelto da circa 400 studenti in tutta Italia. Un’ulteriore dimostrazione dell’incapacità del ministro di percepire le reali esigenze del Paese, insistendo invece su un’impostazione ideologica e autoritaria.
Nelle intenzioni del governo, il Liceo dovrebbe formare una nuova classe dirigente in grado di sviluppare competenze imprenditoriali per la promozione e valorizzazione dei settori del made in Italy. In realtà, l’impostazione di questo Liceo si sovrappone a corsi di studio già esistenti, quali il tecnico turistico e il professionale per l’enogastronomia, creando una notevole confusione tra indirizzi di studio diversi.
Viene inoltre istituita la Fondazione “Imprese e competenze” per promuovere il raccordo tra le imprese e i Licei del Made in Italy, diffondere tra gli studenti la cultura d’impresa del made in Italy e prevedere il rafforzamento dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (come ora si chiama l’alternanza scuola lavoro), favorendo l’apporto formativo delle imprese e degli enti del territorio. Tutto ciò, secondo il governo, in funzione di un qualificato inserimento nel mondo del lavoro e delle professioni attraverso il potenziamento dei percorsi di apprendistato.
La Fondazione si correla con le Regioni e gli altri soggetti pubblici e privati del settore della formazione professionale e del sistema di Istruzione Tecnologica Superiore per creare sinergie e coordinare competenze, a partire dai principali distretti industriali in cui i nuovi licei possano sviluppare progetti formativi in coerenza con le direttrici di sviluppo economico del Paese.
Ancora una volta ci si trova di fronte a un percorso formativo che mette al centro non la crescita culturale e sociale dello studente, ma le esigenze dell’impresa, in risposta ai bisogni immediati del mercato del lavoro. Una prospettiva miope, incardinata su una improbabile “autarchia” italiana e incapace di affrontare le sollecitazioni che arrivano dai mercati europei, a partire dalla riconversione energetica.
È davvero preoccupante che gli obiettivi strategici di un liceo possano essere determinati da soggetti pubblici o privati estranei alla scuola. Nel cinquantesimo anniversario dei “decreti delegati”, con l’introduzione nella scuola di strumenti destinati a valorizzare il ruolo dei docenti e la partecipazione delle famiglie e degli studenti, assistiamo a un processo di espropriazione delle competenze educative dell’istituzione scolastica.
Non è in discussione il diritto di soggetti esterni di partecipare alla realizzazione della Comunità Educante, né si difende una scuola autoreferenziale e chiusa al territorio, ma il processo educativo deve avvenire sotto il coordinamento e l’impostazione didattica determinata dai protagonisti del processo formativo, primariamente dai collegi docenti, che devono poter agire in totale autonomia e senza interferenze esterne.
Nel rispetto della Costituzione, l’unico interesse della scuola deve essere quello di formare cittadini istruiti e responsabili, suscitando negli studenti la crescita di uno spirito critico, e con azioni atte a favorire l’accesso all’istruzione anche agli studenti con maggiori difficoltà.
Inoltre, di pari passo con la creazione del Liceo del Made in Italy, va segnalata la sperimentazione della filiera tecnico-professionale in 4 anni, che diminuisce il numero di anni di frequenza della scuola superiore, favorendo un impoverimento culturale e penalizzando gli studenti più fragili. Dietro la presunta necessità di equiparare la durata del corso di studi superiore a quelli europei, è pensata per avvicinare più rapidamente gli studenti al mondo del lavoro.
Queste novità legislative si inseriscono in un clima fortemente repressivo. I provvedimenti annunciati dal ministro contro gli studenti che hanno occupato le scuole, le richieste di sospensioni per chi osa esprimere pubblicamente il proprio pensiero e i gravissimi fatti di Pisa, con la polizia che ha caricato studenti che protestavano pacificamente, dovrebbero far riflettere sulle reali intenzioni del governo: un’idea di scuola autoritaria e repressiva, sottomessa alle esigenze delle imprese e destinata a riprodurre le differenze di classe tra gli studenti.
Noi continuiamo a credere con ostinazione in una scuola democratica, aperta e inclusiva.