Rapporto Ismu su migrazioni: un focus sul lavoro - di Ivan Lembo

È stato presentato lo scorso 13 febbraio il nuovo Rapporto sulle migrazioni redatto da Ismu. Si tratta della 29esima edizione della pubblicazione della fondazione milanese che rappresenta uno strumento imprescindibile per conoscere e analizzare il fenomeno migratorio nel nostro Paese.

Oltre a fornire informazioni di carattere generale sulla presenza di persone straniere (il numero complessivo rispetto alla popolazione autoctona, quello dei residenti e degli irregolari, i Paesi di provenienza, il numero degli sbarchi e degli accessi via terra, le domande di cittadinanza, ecc.), il Rapporto concentra la propria attenzione su tematiche fondamentali quali il lavoro, l’istruzione e la presenza nel sistema scolastico, la salute.

Un focus interessante è dedicato a come il tema immigrazione sia stato affrontato nelle ultime elezioni regionali, e altre questioni di stretta attualità sono: il patto sulla migrazione e l’asilo, la questione dei corridoi umanitari, le tensioni tra Kosovo e Serbia, l’Europa e i suoi rapporti con i Paesi africani, la violenza familiare e i minori, la percezione del tema immigrazione nell’opinione pubblica europea, la guerra in Ucraina.

Rinviando alla lettura del Rapporto per avere un quadro complessivo della situazione, questo articolo si concentra su un tema centrale per la nostra azione di rappresentanza sociale: il lavoro.

Dopo il calo provocato dalla pandemia, il livello di occupazione delle persone straniere, così come di quelle italiane, è tornato a crescere. Nel 2022 gli stranieri rappresentano il 10,8% delle forze lavoro tra i 15 e 64 anni, 10,4% degli occupati e il 15,9% dei disoccupati. Per quanto riguarda i settori, il comparto con più elevata incidenza di stranieri sul totale degli occupati è quello dei servizi individuali e collettivi, seguito a distanza da agricoltura, ristorazione e turismo, costruzioni. Ovviamente questi dati scontano una forte differenziazione a livello territoriale.

Un elemento comune nei territori e costante nel tempo è l’inserimento dei lavoratori stranieri nei settori più poveri della filiera produttiva. Nel 2022 per i lavoratori extracomunitari occupati a tempo indeterminato la retribuzione media annua è stata pari a poco più di 19mila euro, quella del totale dei lavoratori più di 27mila euro. Viene confermata un’immigrazione fortemente coinvolta nel fenomeno del “lavoro povero”, a sua volta anticamera, per molti lavoratori stranieri e per le loro famiglie, della caduta in una condizione di povertà assoluta o relativa.

Altro problema persistente è quello della “overqualification”: rispetto agli altri Paesi, l’Italia attrae una immigrazione poco istruita. Inoltre, la quota di stranieri laureati occupati in una professione a bassa o media qualificazione è pari al 60,2% nel caso di cittadini non Ue e al 42,5% nel caso degli Ue, a fronte del 19,3% stimato per gli italiani. Secondo i dati di uno studio Istat del 2023, ripreso dal Rapporto Ismu, ad incidere pesantemente sulla “overqualification” sono la cittadinanza e il genere. A pesare è anche il mancato riconoscimento dei titoli di studio: meno del 3% degli stranieri possiede un titolo estero riconosciuto in Italia.

Per quanto concerne il gender gap, ad essere penalizzate sono soprattutto le lavoratrici extraeuropee. Nel 2022 i tassi di occupazione femminili delle donne extra Ue sono molto più bassi rispetto alle italiane. Tra i fattori penalizzanti: bassi livelli di istruzione e competenza linguistica, difficoltà sul fronte della conciliazione dei tempi vita lavoro, esposizione alla discriminazione.

Un ultimo elemento importante va posto al centro della discussione: la domanda di lavoro immigrato è in crescita. Il 2023 ha registrato il record storico delle assunzioni di personale immigrato programmato dalle imprese italiane. Il Rapporto prevede che, a partire da quest’anno alla fine del decennio, la popolazione Ue in età attiva (15-64 anni) diminuirà di oltre 6 milioni di unità già nei primi sei anni, e poi, di 13 milioni entro il 2040, pur in presenza di flussi migratori in entrata. Si aggraveranno, quindi, le difficoltà di reclutamento già oggi presenti in vari settori (socio assistenziale, manifatturiero, commercio al dettaglio, ospitalità, trasporti, costruzioni). A dispetto, quindi, di un quadro politico dominato da una narrazione tossica del fenomeno migratorio e dalla preoccupazione di ridurre la pressione migratoria irregolare e l’arrivo di richiedenti asilo, esiste un dibattito, che necessariamente prenderà forza, su una gestione dei flussi che consenta di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro.

È evidente che servano modifiche del quadro normativo, sia di aspetti di ordine procedurale e organizzativo, tali da superare una visione miope dell’immigrazione e favorire il pieno inserimento sociale e lavorativo delle persone straniere. Temi e questioni su cui il sindacato confederale non può mancare di far sentire la propria voce, con l’idea di un modello di sviluppo che metta al centro i diritti e la dignità delle persone.

 

 
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