Hisham Bustani scrittore resistente - di Anika Persiani

L’assordante silenzio sugli intellettuali arabi e palestinesi.

Il mondo arabo pullula di scrittori emergenti, di uomini e donne che stanno raccontando ciò che la popolazione palestinese sta vivendo in quel territorio frastagliato che si denomina generalmente “Macchia di Leopardo”. Adesso, sotto gli occhi di tutti, con l’indifferenza di tutti, stiamo assistendo a qualcosa che nessuno vuole neanche cimentarsi ad analizzare seriamente, lasciando spazio alle solite supposizioni che si basano su dettagli troppo superficiali, in una complessità di eventi ed evoluzioni storiche che si succedono da millenni.

Hisham Bustani è uno di questi scrittori e sta cercando di lanciare un appello, sta provando a non essere semplicemente “lo scrittore Hisham Bustani” ma il resistente Hisham Bustani. Ha in attivo tante di quelle pubblicazioni che vengono pure presentate nelle università europee, a Londra, a Berlino, a Madrid, ma quelle in cui parla della correlazione fra mondo arabo e mondo palestinese le descrive così: “Gli orizzonti del romanzo arabo? Lecca il culo delle autorità e avrai i tuoi premi”.

Hisham, classe 1976, viene da una lunga formazione di tipo marxista, è uno di quegli intellettuali che è sempre stato in prima linea quando si trattava di denunciare quello che stava accadendo. Eravamo insieme in Iraq, nei primi anni duemila, durante l’attacco degli Stati Uniti, e lui, con la sua grande eleganza, scrisse per la prima volta: “Quando un sistema imperiale va verso il declino, diventa feroce e attacca. Ci aspetteranno anni e anni di guerre, perché ogni impero in decadenza sfoggia la sua veste più letale, più cattiva e feroce, perché la paura di rendere conto ad un mondo in espansione che la sua politica è stata un fallimento è quella che muove i conflitti più atroci. La nostra storia, la storia dell’umanità, avrebbe dovuto insegnarci ad evolverci, non a diventare oggetti dell’evoluzione di pochi”.

Hisham Bustani è uno di quegli intellettuali che smuovono le coscienze, ma in quegli anni dove ancora si sognava un mondo di pace era visto un po’ come un portatore di malasorte. Malasorte che oggi ci ritroviamo addosso senza esserci neanche resi conto del vento che tirava. Infatti quando Hisham Bustani scrive di Palestina, nessuno lo chiama a Londra, Madrid o Berlino, ma neanche a Dubai, a Doha o nella sua stessa città: Amman. Esiste una sua trilogia che racconta la tragedia di Gaza, ma è uno di quei lavori che non vengono considerati e la traduzione dall’arabo, si sa, non è una cosa alla portata di tutti gli editori.

Hisham scrive: “L’attraversamento è sempre stato un punto di incrocio tra vita e morte, solidarietà e cospirazione, continuità e taglio. Come l’attraversamento del passaggio di Rafah, valico che dall’Egitto dovrebbe consentire un passaggio verso Gaza, sia di aiuti umanitari che di feriti, ma che resta una opzione da videogame per gli egiziani. Dal 2008 il valico di Rafah viene descritto da tutti come una barriera invalicabile, ma l’indifferenza del mondo non ha mai evidenziato le responsabilità della comunità internazionale rispetto ad operazioni che si compiono in quel territorio, come fu ‘Cast Bullet’ in quell’anno, dove si iniziò a vedere Gaza come una prigione a cielo aperto. Oggi anche la Cisgiordania è una prigione a cielo aperto, basti sapere che tutti i punti di confine sono controllati da Israele e, senza passare per Israele, come succede per Gaza non si entra e non si esce dalla West Bank”.

Poi continua: “Con altri due intellettuali, Mustafa Bayoumi e Lina Munzer, abbiamo tentato di rispondere a due domande: la prima è come possiamo far conoscere il crimine che si sta commettendo a Gaza, che viene occultato agli occhi del mondo a livello mediatico, senza essere appellati come terroristi, solo perché evidenziamo che ciò che sta accadendo è una delle parti più atroci della storia neocoloniale dell’umanità; e la seconda, quella più preoccupante, che si chiede dove sia finita quell’educazione che avrebbe dovuto lasciarci la crescita culturale del ventesimo secolo, che ci avrebbe permesso di analizzare quello che sta accadendo con le nostre armi culturali, invece che abbassandoci alla descrizione che ne da una società in declino e prepotente verso i deboli”.

Ecco, queste sono le domande che il mondo intellettuale arabo, quello che ancora usa l’intellettualità come arma, si pone, ma che non può urlare nessuna risposta. Perché la risposta la conoscono tutti. E nessuno, tranne il Sudafrica con il suo tentativo presso la Corte Internazionale dell’Aja, ha il coraggio di cercarle.

Chi ci prova, sa…

 

Hisham Bustani (nato nel 1975, Amman, Giordania) è uno scrittore e attivista. Ha pubblicato tre raccolte di narrativa breve: Of Love and Death, The Monotonous Chaos of Existence e The Perception of Meaning. Traduzioni in inglese dei suoi racconti sono apparse su The Saint Ann’s Review, The Literary Review e World Literature Today.

 

 
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