Quest’anno le lavoratrici e i lavoratori della Cesare Fiorucci hanno vissuto un Natale amaro. La nuova proprietà, una holding controllata dai fondi di investimento Navigator Group e White Park Capital, il 27 novembre scorso ha avviato una procedura di licenziamento collettivo che coinvolge il 54% della forza lavoro negli stabilimenti di Santa Palomba-Pomezia e Ugolotti-Parma, con 226 esuberi annunciati.
Il piano industriale e di investimenti presentato dall’azienda per il rilancio dell’attività evidenziano l’ennesima intenzione di voler sacrificare il valore del lavoro sull’altare degli interessi finanziari. A fronte della dichiarata disponibilità ad investire 32 milioni di euro in sei anni, si mettono in atto chiusure di interi reparti, esternalizzazioni e terziarizzazioni.
Le lavoratrici e i lavoratori hanno da poco concluso il primo pacchetto di 40 ore di sciopero. Sono in lotta per difendere la loro dignità, l’occupazione, e per garantire un futuro industriale agli stabilimenti, necessario anche per sostenere l’importante indotto collegato alle attività produttive.
Le lavoratrici e i lavoratori chiedono il riconoscimento della loro professionalità, quella che ha permesso alla Fiorucci di essere conosciuta in tutto il mondo come eccellenza del comparto alimentare italiano. Chiedono il rispetto del lavoro di una vita: l’età media della popolazione della Fiorucci è di oltre 52 anni, e molte sono le patologie e limitazioni determinate dall’attività lavorativa. La perdita del lavoro comporterebbe notevoli difficoltà di ricollocazione, con un impatto sociale significativo sul territorio di Pomezia, in piena fase di deindustrializzazione.
Nell’incontro in Unindustria del 9 gennaio scorso sono state ribadite le richieste sindacali che insistono sulla revoca della procedura e l’apertura di un dialogo utile ad individuare soluzioni industriali alternative, anche in ottica di transizione ecologica, che possano servire a dare dignità al mondo del lavoro e ad evitare l’ennesima macelleria sociale. Purtroppo l’incontro si è concluso con un mancato accordo, per l’indisponibilità dell’azienda a revocare la procedura di licenziamento collettivo.
La mobilitazione continua, in vista anche di un primo incontro presso la Regione Lazio convocato per il 19 gennaio.