Francesca Albanese con Christian Elia, “J’Accuse. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’Apartheid in Palestina e la guerra”, Fuoriscena, pagine 176, euro 16.
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, nel suo agile libro-intervista “J’Accuse. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’Apartheid in Palestina e la guerra”, non pone al centro il termine genocidio, anche se viene discusso nella postfazione.
Nelle ultime settimane, tuttavia, su Twitter, viene evocato, dalla stessa autrice, il comportamento genocidario di Israele contro i palestinesi. Il Sudafrica ha chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia di verificare se Israele è responsabile di genocidio. Al di là degli esiti del procedimento, rimangono i fatti.
Nella postfazione Roberta De Monticelli scrive: “Per la politica che non accetti questo genere di vincoli (del diritto internazionale, ndr), la criminalizzazione dell’avversario giungerà fino alla sua disumanizzazione – ed ecco il parossismo della violenza epistemica. ‘Stiamo combattendo contro animali umani e dobbiamo agire di conseguenza’ (Yoav Gallant, ministro della Difesa di Israele). Il contesto di questa affermazione, e molto più i fatti che ne sono seguiti, configurano secondo Raz Segal, esperto mondiale in Olocausto e politiche genocidiarie, un reato di genocidio, appunto. Chiamatelo come vi pare: in una settimana Israele ha lanciato tante bombe su quel fazzoletto di terra quante ne hanno lanciate gli Stati Uniti sull’Afghanistan in ciascun anno della loro ‘guerra al terrorismo’”.
Quello di Francesca Albanese è il libro di una giurista esperta in diritto internazionale, che ha votato la sua vita alla difesa dello stesso diritto internazionale, il quale si incontra con una visione de-coloniale, nella quale “i due pesi, due misure” di tante politiche di potenza, e di tanti consessi di diritto internazionale, non hanno cittadinanza.
Il libro-intervista, agile e di facile lettura, è un sunto emozionante di chi usa un ruolo di grande responsabilità per ricercare la giustizia, senza annacquare le proprie posizioni “in ragione del contesto”. È suddiviso in sette capitoli, che ruotano intorno a delle parole-chiave: terrorismo, disumanizzazione, occupazione, colonialismo, apartheid, democrazia, carceralità.
Il titolo emblematico e programmatico “J’Accuse” riprende una locuzione che, in italiano, potrebbe essere il pasoliniano “io so i nomi”, recentemente usato anche al congresso della Cgil. Il ‘J’Accuse’ di Francesca Albanese, come ci spiega l’autrice nell’introduzione, riprende anche la prima frase del famoso articolo di Emile Zola del 1898: “La verità prima di tutto”.
A fronte degli atroci crimini contro i civili israeliani del 7 ottobre 2023, questo libro ricostruisce con precisione il contesto e permette di stabilire cosa un militante del movimento dei lavoratori e per la pace dovrebbe fare: stare con la Palestina. Senza entrare nello specifico di ogni capitolo, riprendiamo solamente quello dedicato alla parola ‘terrorismo’, che si è ritrovata, anche declinata quale aggettivo, in alcune dichiarazioni e documenti sindacali.
Sul tema Francesca Albanese è chiarissima: è crimine di guerra quanto realizzato da Hamas il 7 ottobre 2023, così come uccidere indiscriminatamente civili, come sta realizzando Israele. Per quanto riguarda la categoria del “terrorismo”, “la lettura degli eventi in termini di terrorismo va gestita con cura. Se i crimini compiuti dai paramilitari arrivati da Gaza possono configurarsi come atti terroristici secondo la definizione di alcuni Stati o regioni (non esiste una definizione unica o una normativa internazionale vincolante in materia), la soluzione non può risiedere nelle misure anti-terrorismo. […]. Non c’è dunque un vuoto legislativo su questo punto. Il diritto internazionale umanitario offre il quadro giuridico valido a livello globale per chiarire la natura dei conflitti e la condizione delle persone soggette e coinvolte negli stessi. E il termine ‘terrorista’ non è contemplato. Utilizzare il termine ‘terrorista’ è pericoloso, perché rischia di portare i palestinesi, insieme ai miliziani di Hamas, dall’ambito normativo più ampio del diritto a quello della politica, che potrebbe disumanizzare le persone e le ragioni per le quali il conflitto è scoppiato. I combattenti di Hamas sono una forza militare non statale”.
I sindacati europei, da questo libro, possono imparare come il diritto internazionale può aiutare l’emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, e realizzare il loro diritto all’autodeterminazione dei popoli, se poi, in modo lineare, quei principi vengono calati nell’attività militante quotidiana.
Il Mediterraneo del 2024, a differenza anche solo di venti anni fa, è un mare pieno di navi da guerra, con una potenza distruttiva paurosa. Si tratta di decidere da che parte stare.
Le elaborazioni, anche recenti, del sindacato in relazione alle pratiche genocidiarie a Gaza, ed alla polveriera mediterranea, andrebbero aggiornate.