Cessate il fuoco, dialogo e diritto internazionale, unica via d’uscita al conflitto israelo-palestinese - di Sergio Bassoli

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La Marcia straordinaria per la pace in Medio Oriente ha avuto al centro l’appello al cessate il fuoco, per fermare la strage degli innocenti. Che si tratti di una strage di civili lo hanno spiegato molto chiaramente i responsabili delle Nazioni Unite presenti, Francesca Albanese, relatrice speciale del Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, che ha ricordato come e quanto il governo israeliano stia violando il diritto umanitario internazionale, e Andrea De Domenico, direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Palestinesi Occupati (Ocha), in video-conferenza da Gerusalemme, che ha descritto le condizioni drammatiche di difficile sopravvivenza della popolazione di Gaza, oramai allo stremo, senza più un angolo della Striscia di Gaza che si possa definire “luogo sicuro”. Una crisi umanitaria che non ha precedenti per intensità e rapidità, che distrugge anche la credibilità del diritto internazionale, senza più organi e poteri in grado di garantirne il rispetto e l’applicazione.

La condanna della violenza e del terrore seminato da Hamas il 7 ottobre, e la condanna per la reazione militare scatenata dal governo israeliano come risposta all’azione terroristica, si è ripetuta in ogni intervento. È stato ribadito il diritto di difesa di Israele ma nel rispetto del diritto umanitario internazionale. Su come fare giustizia senza dover fare ricorso ad una nuova ingiustizia ancor più profonda e disumana, come liberare gli ostaggi, come garantire sicurezza a palestinesi ed israeliani, si è sviluppato il dibattito e si è animata la conferenza.

L’ancoraggio al sistema internazionale dei diritti umani, alle convenzioni, ai trattati ed alle risoluzioni Onu sono i fondamentali per costruire l’alternativa e l’uscita dalla logica della guerra e della vendetta. Ma se questi non sono applicati da parte degli Stati e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è bloccato dal potere di veto dei suoi membri permanenti, cosa si può fare?

Su questo punto sono emerse le responsabilità dei governi, a partire dai nostri, che per anni hanno sostenuto la soluzione dei “due Stati per i due Popoli” senza mai applicarla. Anzi hanno lasciato che lo stato di fatto, l’occupazione e la creazione di nuove colonie nei territori palestinesi, andasse avanti, togliendo speranze ad un intero popolo e aprendo la strada ad altre soluzioni, radicali e violente.

Questa tesi, ribadita da molti interventi durante la conferenza di Assisi, richiama la responsabilità di tutta la comunità internazionale e interroga su come costruire una via d’uscita al conflitto israelo-palestinese, fermando la spirale di violenza che ha raggiunto livelli tali da far invocare al Segretario Generale Guterres l’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite, ossia, il rischio della sicurezza globale.

In questo contesto, è stato importante ascoltare le voci di israeliani e palestinesi ancora disponibili a dialogare ed a confrontarsi con il “nemico”, con l’altro, pieni di dubbi e di ripensamenti. Voci sofferte di chi è sotto shock, di chi ha perso amici e familiari, di chi ha visto vacillare le proprie idee e il lavoro di anni di dialogo e di impegno per la pace, di chi non vede più una soluzione politica, di chi invoca la comunità internazionale.

Riconoscere lo Stato di Palestina, ora o mai più, sembra essere il messaggio trasmesso negli interventi di Hassan Khatib e da Alon Liel, anche se in pochi credono alla sua concreta fattibilità ma è ancora l’unica opzione in campo, con una base giuridica internazionale e in grado di creare uguali diritti e legittimità internazionale ai palestinesi. Poi il resto lo farà la storia, lo faranno le rispettive leadership e la volontà popolare, sempre e quando si investa sulle libertà, sui diritti e sulla democrazia.

Per noi, si conferma un contesto politico, sociale e culturale molto complicato, condizionato da una azione mediatica impegnata a promuovere la logica dello schieramento del “pro” o “contro” Israele o “pro” o “contro” i palestinesi, mescolando la critica all’azione del governo di ultra-destra, xenofobo, razzista israeliano con l’anti-semitismo, come il sostegno al diritto di auto-determinazione del popolo palestinese con il sostegno ad Hamas e al terrorismo. E, viceversa, la denuncia dell’atto criminale di Hamas, come sostegno all’azione militare israeliana contro la popolazione di Gaza o di sostegno al progetto sionista.

E' una polarizzazione ed una radicalizzazione delle posizioni che produce un mix pericolosissimo per le libertà d’espressione, d’associazione e per la democrazia, ma anche per ri-costruire e coltivare il terreno del dialogo tra le due parti, del rispetto reciproco e della fiducia. Condizioni, queste, che debbono essere presenti accanto al rispetto del diritto internazionale, per costruire convivenza, diritti e pace stabile.

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