Da decenni vediamo come all’aumento esponenziale dei profitti e delle rendite finanziarie, a beneficio di pochi, corrisponda il complessivo impoverimento delle classi subalterne e la precarizzazione strutturale della classe lavoratrice.
Alla cancellazione dei vincoli alla mobilità del capitale, si è aggiunta la messa in concorrenza fra i vari Stati nazionali nell’offrire i livelli di tassazione del capitale più bassi, e nel creare legislazioni fiscali ad hoc per i super ricchi.
Complementare alla continua rincorsa verso il basso della tassazione di capitali si è rivelata l’espansione dei paradisi fiscali. Lungi dal rappresentare fenomeni marginali, o dal formare economie parallele sganciate da quella ufficiale, i mercati offshore e i flussi illegali di capitali formano mercati perfettamente integrati al funzionamento del capitalismo globale, di cui costituiscono circa la metà delle riserve mondiali di denaro.
L’atteggiamento subalterno e neo-colonialista degli Stati occidentali di fronte agli interessi materiali dei grandi fondi e delle multinazionali è dimostrato dai risultati raggiunti dalle trattative sulla tassazione minima globale. Dalla proposta originaria di una tassazione minima dei profitti delle multinazionali al 22%, nel 2021, i 140 Stati aderenti si sono accordati alla quota del 15%.
L’imposta minima globale, presentata dai cantori dell’ordine globale come un accordo storico, sta in realtà producendo risultati pressoché nulli, come attestano due recenti indagini.
Secondo lo studio Corporate Tax Statistics 2023 dell’Ocse, il 37,1% (corrispondente a 2.411 miliardi di dollari) degli utili netti globali delle multinazionali con un fatturato superiore a 750 milioni di dollari è oggetto di tassazione con un’aliquota fiscale effettiva inferiore al 15%. Ciò dimostra come negli Stati che formalmente mantengono un’elevata tassazione sia consentito alle multinazionali di continuare a godere di benefici fiscali di vario tipo.
Altri dati interessanti provengono dal rapporto sull’evasione fiscale globale di Eutax Observatory. Lo studio attesta come le aliquote fiscali effettive sulla persona dei miliardari globali siano pari allo 0%-0,5% del loro reddito, in quanto in molti Paesi è legale l’uso di holding per gestire il patrimonio personale, permettendo di fatto ai miliardari di aggirare l’imposta sul reddito.
Anche lo spostamento della massa di ricchezza rappresentata dai profitti delle multinazionali verso i paradisi fiscali è rimasto pressoché immutato. I ricercatori stimano mille miliardi di dollari, pari a circa il 35% degli utili contabilizzati dalle multinazionali al di fuori del Paese in cui hanno sede, la quota di profitti spostata nei paradisi fiscali nel 2022. Ciò deriva dalla possibilità, per le società multinazionali, di continuare a trasferire l’attività produttiva in Paesi con bassissimi livelli di tassazione.
Il fallimento conclamato dell’imposta minima globale rivela una volta di più che le multinazionali e la finanza internazionale rappresentano un mondo alla rovescia, nel quale i profitti, di origine sia legale che criminale, sono soggetti a tassazioni risibili.
I fenomeni di evasione/elusione fiscale delle multinazionali e dei super ricchi sono protetti dall’assenza di normative internazionali stringenti sul controllo dei flussi di capitale. Ne consegue il mantenimento, su scala mondiale, sia delle disuguaglianze fiscali e patrimoniali che causano l’impoverimento delle classi subalterne, sia del sovra-indebitamento strutturale dei Paesi del cosiddetto sud globale.
Alternative per invertire il continuo trasferimento di ricchezze della classe lavoratrice a favore degli oligopoli finanziari, dei paradisi fiscali e delle multinazionali cominciano tuttavia a profilarsi. Esse sembrano dipendere anche dalla costruzione di nuovi accordi e organismi sovranazionali, espressioni degli interessi del sud globale.
Questo è quanto prospettato dalla storica risoluzione Onu del 22 novembre. La risoluzione, proposta dai Paesi africani e approvata a larga maggioranza nonostante il voto contrario di tutti gli Stati occidentali, ha assegnato all’Onu, revocandolo in pratica all’Ocse, il mandato per riscrivere le attuali regole della tassazione fiscale, contro il mondo alla rovescia degli oligopoli finanziari.