L’interesse comune di migranti e autoctoni - di Leopoldo Tartaglia

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Stefano Allievi, Governare le migrazioni. Si deve, si può, Laterza, Bari-Roma 2023, pagine 136, euro 14.

Stefano Allievi è professore di sociologia e direttore del Master in Religions, Politics and Global Society presso l’Università di Padova. Da oltre trent’anni si occupa – non solo sul piano accademico – di migrazioni in Italia e in Europa e di analisi del cambiamento culturale e del pluralismo religioso, “esperto” in particolare di Islam.

La sua ultima e recente pubblicazione, “Governare le migrazioni. Si deve, si può”, è un agile pamphlet che, fin dal titolo, annuncia l’impostazione razionale e pragmatica al fenomeno migratorio.

In poco più di 130 pagine Allievi inquadra adeguatamente il fenomeno a livello globale e locale, sul piano antropologico, filosofico, sociologico, e propone soluzioni concrete, sfuggendo programmaticamente dalle impostazioni ideologiche e dagli slogan, e tenendosi il più lontano possibile da ogni polemica politica. Anche se, come è evidente, la sua posizione di “buon senso” è agli antipodi di certa propaganda di destra, seppure l’autore ci tenga a tenersi distante anche da quello che definisce “buonismo” di alcuni partiti e soprattutto – ingenerosamente e immotivatamente, a mio avviso – dell’associazionismo che in questi anni si è dedicato all’accoglienza e a politiche a favore degli immigrati. Giudicati un po’ troppo frettolosamente disattenti e non empatici verso le paure – quelle motivate - degli autoctoni di fronte alle diversità e ai cambiamenti che i movimenti migratori comunque comportano.

Comunque, al netto di valutazioni ovviamente discutibili, il testo di Allievi ha il merito innegabile – tanto più di questi tempi – di mettere le cose nella loro prospettiva reale, a partire dalla chiara affermazione della ineluttabilità e positività dei fenomeni migratori e della mobilità delle persone più in generale. Con i loro effetti positivi sul piano sociale, economico, culturale.

Fin dalle premesse, le migrazioni – ché, anche solo rimanendo all’Italia, siamo un paese al contempo di immigrazione e di emigrazione – vanno contestualizzate rispetto alle dinamiche demografiche, alle condizioni dell’economia e del mercato del lavoro, all’arricchimento culturale dato dall’incontro, per quanto problematico possa essere, tra culture e religioni diverse.

Ma è certamente la parte sulle proposte, proprio per il loro totale “buon senso”, per la razionalità e pragmaticità, che offre indicazioni convincenti. L’autore non nega il diritto-dovere degli Stati di controllare i propri confini. Dimostra, semmai, come le politiche di rigida chiusura, la costruzione di muri e barriere, sia fisiche che normative, costituiscano in realtà, per la loro palese inefficacia (oltre che, spesso, illegittimità), il contrario del reale controllo delle frontiere. E finiscano, con il loro “proibizionismo” e con l’esternalizzazione, a favorire l’appalto del controllo dei confini alle mafie transnazionali. Producendo tragedie umanitarie e irregolarità negli arrivi.

Lungi dal combattere e limitare l’irregolarità, gran parte delle politiche attuate negli anni nel nostro paese – e nell’Unione europea – hanno prodotto irregolari, con l’effetto di deprimere la qualità dei flussi migratori, complicare le politiche di accoglienza, depotenziare il contributo economico e culturale che gli immigrati potrebbero dare – e danno – al nostro paese. Si tratta, quindi, di favorire e aprire canali di accesso legali, superando la dicotomia – in realtà un doppio “respingimento” – tra “migranti economici” e richiedenti asilo. Il boom di questi ultimi nell’ultimo decennio, oltre che per l’aggravarsi dei conflitti, delle persecuzioni, delle catastrofi ambientali causate dal cambiamento climatico, è stato dovuto in buona misura all’essere rimasta quella della protezione internazionale – così come per i minori – la sola via di accesso legale all’Italia e all’Unione, data la chiusura di fatto degli ingressi legali per lavoro e ricerca di lavoro.

Per questi e per altri aspetti, nel capitolo conclusivo, l’autore invita “lettori e lettrici a ripetere con me, dopo ogni frase, la domanda: ‘Ha senso tutto questo?’, come fosse una litania, o un salmo responsoriale”. E la risposta che tutto ciò sia insensato e non conveniente riguarda, tra l’altro, il crollo dei permessi per lavoro, il legame del permesso di soggiorno al contratto di lavoro (legge Bossi-Fini), la gestione dei permessi affidata alle Questure invece che agli uffici anagrafe dei Comuni, le difficoltà da parte dei nostri consolati a rilasciare visti per studio, la condizione di irregolarità e la mancanza di ispezioni sul lavoro che condanna molti immigrati al lavoro nero.

 

“C’è un caso, recentissimo, che dovrebbe aiutarci a riflettere – conclude Allievi - l’Europa ha accolto in pochi mesi quasi otto milioni di ucraini in fuga dal loro paese…. In Italia ne sono arrivati un po’ meno di 200mila. La novità è che ad essi, e solo ad essi, per la prima volta l’Unione europea ha applicato un meccanismo di protezione temporanea previsto dai trattati ma mai utilizzato… Il risultato? Riassumibile nel fatto che sostanzialmente non ci sono stati problemi di integrazione”.

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