Ghiott, cantuccino amaro per i lavoratori - di Frida Nacinovich

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Una bella storia di imprenditoria al femminile e di produzione di qualità, ma senza lieto fine, dove l’amaro prevale sul dolce dei biscotti che avevano fatto la fortuna della famiglia Salaorni. Davvero triste la parabola di Ghiott Dolciaria, iniziata nel 1953 con un piccolo forno nel cuore della Toscana, dove Enzo e Silveria ebbero la fortunata idea di produrre e vendere quelli che sono comunemente chiamati cantuccini: miele, uova fresche, latte e mandorle, una ricetta antica ma che non passa mai di moda. Decenni e decenni di attività anche frenetica ma sempre a conduzione familiare, con il passaggio all’alba del secolo dai genitori alle figlie, e poi anche alla nipote.

Il resto è storia di ieri, nel 2016 Ghiott Dolciaria acquista una storica azienda cioccolatiera toscana, ‘La Sirena Cioccolato’, e dà vita a Ghiott Cioccolato. Forse il passo è più lungo della gamba, perché iniziano le difficoltà. Una crisi finanziaria, che finisce per piegare le ginocchia allo stabilimento di Sambuca, nel cuore del Chianti, nel comune di Barberino Tavarnelle.

Oggi i forni sono spenti e i dipendenti protestano fuori dai cancelli per salvare il loro posto di lavoro, mentre il profumo dei ‘Ghiottini’, certificati Igp, i cantuccini immancabili sulle tavole toscane, un profumo di biscotti appena sfornati che riempiva la valle della Pesa, rischia di svanire per sempre.

Otto licenziamenti in arrivo, di cui sette destinati a donne. Settant’anni di storia e un grande punto interrogativo davanti. “Dopo diverse richieste di incontro andate nel vuoto - spiega la Flai Cgil - siamo dovuti arrivare ad uno sciopero con un presidio per avere un confronto con la proprietà”. Il sindacato chiede di attivare il tavolo di crisi regionale, “per vedere se ci sono le condizioni di poter salvare i posti di lavoro e dare continuità alla produzione del cantuccino, anche con l’intervento e l’aiuto di imprenditori interessati a portare avanti questa attività”. A metà luglio era stata ventilata una possibile trattativa di vendita, ma sembra mancare la convinzione.

Carolina Stoppioni, eletta nella Rsu per la Flai Cgil, è amara: “Viviamo questa situazione come un affronto personale, ci stanno facendo svuotare gli impianti, ci fanno fermare le macchine, dismettere le materie prime, ma nessuno ci mette la faccia per dire che futuro ci aspetta. La maggior parte dei dipendenti è già andata via, ha trovato un’alternativa. Abbiamo famiglie, figli, spese da affrontare. Anche se a malincuore, chi ha avuto la possibilità di un altro lavoro, pur precario e mal pagato, è andata via. Siamo operaie, non avevamo altra scelta”.

Stoppioni è entrata in fabbrica nel 2007, sedici anni di vita in Ghott. “Per qualche tempo sono stata addetta al confezionamento, poi sono passata alla produzione vera e propria, impasto e cottura. Alla fine ero una sorta di jolly, venivo spostata dove serviva”. Operaie specializzate quelle in Ghiott, esempio di quel saper fare toscano riconosciuto a tutte le latitudini, non più giovanissime ormai e per questo ancor più vulnerabili. “Molte di noi lavorano qua da più di dieci anni, qualcuna da venti, non è certo facile riuscire a trovare un altro lavoro. Abbiamo organizzato un presidio e anche uno sciopero per far conoscere la nostra situazione, per cercare di rompere il muro del silenzio che ci ha avvolte. La proprietà parlava di noi come di una grande famiglia, organizzava pranzi di Natale per scambiare gli auguri. Dicevano che eravamo la loro prima preoccupazione. Sarà, ma abbiamo dovuto lottare per avere il penultimo stipendio, e il tfr non è arrivato. Chi ancora è rimasto alle dipendenze aspetta addirittura un licenziamento ufficiale che però non arriva. Così resta sospeso, bloccato in una sorta di limbo, senza alternativa, assunto a tempo indeterminato, senza Naspi dunque, nulla di nulla”.

La sindacalista denuncia “un atteggiamento incomprensibile e poco rispettoso nei confronti di chi lavora. Certo, noi percepivamo uno stipendio ma loro ci guadagnavano, e neppure poco. Avrebbero potuto avere qualche riguardo in più”. Ghiott era totalmente integrata, tutto veniva fatto lì, dalla lavorazione delle materie prime al confezionamento, fino alla distribuzione. “L’inizio della crisi coincide con l’idea di allargare gli orizzonti al cioccolato. Probabilmente hanno pensato che la stessa fetta di mercato che avevano conquistato con i cantuccini sarebbe stata assicurata anche per le nuove produzioni. Purtroppo non è stato così”.

 

Gli ultimi otto anni sono stati pesanti, Stoppioni ricorda che “si erano abbassati i ritmi di lavoro, avevamo perso clienti della grande distribuzione come Fior Fiore Coop. Il lavoro del cantuccino è stagionale, ha i suoi picchi nelle feste invernali, a partire dal Natale, e i suoi cali fisiologici. Eravamo arrivati al punto che si doveva decidere se acquistare le materie prime o pagare gli stipendi. Se c’erano le materie prime lavoravamo ma non riscuotevamo, se invece prendevamo lo stipendio lavoravamo a singhiozzo per carenza di materie prime”. Cantuccini amari per chi ha perso il lavoro e oggi resta in un limbo.

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