Intervista a un cooperante-attivista italiano di Operazione Colomba.
Ho posto alcune domande ad un’attivista-cooperante di Forlì. Evitiamo il nome e cognome per scongiurare problemi la prossima volta che dovrà valicare un confine israeliano per poter arrivare in Palestina. L’intervistato ha 44 anni, lavora come tecnico informatico, ma la caratteristica che più si attribuisce è quella di attivista. Dal 2011 ha trascorso nove periodi in Palestina con un corpo civile di pace che si chiama Operazione Colomba.
Eri in Palestina prima della guerra. Com’era la situazione quando sei arrivato?
“Ero in Palestina dalla fine di settembre scorso, ma sono stato altre volte negli anni passati. Operazione Colomba ha attualmente un progetto nel sud della Cisgiordania, in un villaggio chiamato Tuwani, in una zona denominata Masafer Yatta, in Area C, dove l’esercito israeliano controlla militarmente e civilmente l’area e gli abitanti palestinesi. In tutta l’Area C da decenni è in corso un processo di colonizzazione: civili israeliani, con la protezione dell’esercito, costruiscono su terra palestinese avamposti e colonie, sottraendo terra ai legittimi proprietari palestinesi e cercando di rendere la loro vita quanto più dura possibile con l’obiettivo di costringerli a fuggire in Area A (piccole zone dove sorgono le più grandi città palestinesi). L’azione dei coloni e dell’esercito israeliani sono due aspetti dello stesso piano di colonizzazione. Da un lato i coloni attaccano, terrorizzano, rubano terra ai palestinesi. Dall’altro l’esercito israeliano gli garantisce totale impunità. E requisisce terre palestinesi, con la scusa che non sono utilizzate o che devono diventare zone di addestramento militare, impedisce ai palestinesi di costruire qualsiasi infrastruttura, negando i permessi e demolendo le costruzioni realizzate, impedisce la libera circolazione dei palestinesi con check-point fissi o temporanei in cui le persone vengono quotidianamente sottoposte a controlli spesso umilianti. Questo è il quadro generale di quanto ho visto sin dal 2011 e che va avanti da decenni. Durante il periodo del Covid, sfruttando la totale assenza e disattenzione internazionale, e con la nomina in Israele di un governo di estrema destra, il processo di colonizzazione dell’Area C è notevolmente accelerato. Diversi avamposti sono stati legalizzati come colonie (illegali per il diritto internazionale ma legali per il diritto israeliano), le terre sottratte ai palestinesi sono state moltissime, la violenza dei coloni è aumentata per ferocia e frequenza. Anche l’approccio dell’esercito è peggiorato, diventando sempre più complice dei crimini dei coloni e con un atteggiamento estremamente aggressivo anche con gli operatori internazionali presenti nell’area. Diversi villaggi palestinesi sono stati abbandonati dai loro legittimi abitanti, stanchi dei continui attacchi dei coloni e delle umiliazioni a cui l’esercito li sottopone”.
Quindi sei un cooperante. Ci racconti un po’ il vostro progetto?
“Mi definirei meglio un volontario-attivista. Operazione Colomba è in Palestina dagli inizi degli anni 2000, prima a Gaza nel periodo precedente alla sua trasformazione nella più grande prigione a cielo aperto del mondo, e dal 2004 a Tuwani. Escluso brevi periodi, da 19 anni a Tuwani viviamo in una casa messa a disposizione da un palestinese del villaggio, e proviamo a sfruttare il nostro passaporto accompagnando i palestinesi in vari momenti della vita quotidiana, armati di telecamere per prevenire o documentare le molteplici violazioni dei loro diritti. Quando i pastori palestinesi vengono attaccati da coloni o dall’esercito, o le loro case vengono demolite, o i bambini vengono attaccati dai coloni durante il tragitto per andare a scuola, noi cerchiamo di essere presenti, documentando quanto succede e, quando necessario, facendo interposizione non violenta. Molto vicino a Tuwani, come a molti altri villaggi di quella zona, sono state costruite una colonia israeliana denominata Ma’On e un avamposto denominato Havat Ma’on, e gli episodi di abusi ed attacchi verso la popolazione palestinese sono quasi quotidiani. Qui gli abitanti palestinesi hanno scelto alla fine degli anni ‘90, ben prima dell’arrivo degli internazionali, di resistere all’occupazione israeliana in modo nonviolento: continuando ostinatamente ad accedere alle loro terre anche dopo feroci attacchi da parte dei coloni, ricostruendo dopo ogni demolizione dell’esercito, accorrendo collettivamente in sostegno di ogni abitante che venisse attaccato. Questa lotta fino a prima del Covid aveva iniziato a dare risultati, portando diversi palestinesi che avevano lasciato l’area negli anni precedenti a tornare a vivere nei villaggi della zona, contrastando quindi il processo di spopolamento della popolazione palestinese. Dopo il Covid e questo ultimo governo israeliano, e in particolare dopo lo scoppio della guerra, la resistenza è diventata molto più difficile”.
E dopo il 7 ottobre cosa è successo?
“Nei primissimi giorni che hanno seguito il 7 ottobre i coloni dell’area (ma questo è successo in tutta l’Area C) sono stati pesantemente armati dal governo israeliano con armi da guerra tipo fucili mitragliatori M-16. I villaggi palestinesi sono stati di fatto isolati, impedendo alle persone di uscire dai villaggi anche solo per fare la spesa, sotto la minaccia di venire uccisi dai soldati o dai coloni israeliani. Sono stati innumerevoli i casi in Area C di auto e persone palestinesi a cui coloni o soldati israeliani hanno sparato per la sola colpa di essere usciti dai loro villaggi. Gli attacchi dei coloni sono progressivamente aumentati di intensità e frequenza e in diverse occasioni i coloni hanno sparato ed ucciso palestinesi innocenti nei loro villaggi, durante raid che non esito a definire di tipo paramilitare. Questo è successo anche a Tuwani dove in due occasioni coloni israeliani hanno aperto il fuoco contro civili palestinesi disarmati. Nell’ultimo episodio un colono ha sparato a bruciapelo ad un ragazzo palestinese che teneva le mani alzate, con un proiettile a frammentazione. Miracolosamente il ragazzo palestinese è vivo, anche se dovrà sottoporsi ad altri interventi chirurgici, oltre ai due che gli hanno salvato la vita. In entrambe le occasioni i coloni hanno aperto il fuoco a volto scoperto, con la presenza di attivisti internazionali sul posto, ripresi dalle telecamere, e sotto la sorveglianza di soldati israeliani presenti a pochi metri che non hanno impedito, né tentato di ostacolare il loro tentativo di assassinio. In tutta l’Area C ai coloni è di fatto garantita piena impunità, e squadroni paramilitari di coloni stanno uccidendo palestinesi e terrorizzando interi villaggi, costringendo gli abitanti ad abbandonare le loro case. È in corso un processo di vera e propria pulizia etnica. Ho parlato principalmente di Area C, ma come Operazione Colomba abbiamo amici palestinesi che vivono a Gaza e ci tengo a dire che i crimini di guerra e il massacro che sta avvenendo è ingiustificabile e mostruoso. Le persone vengono uccise a centinaia ogni giorno, sotto bombardamenti che colpiscono il nord ed il sud della Striscia, distruggendo scuole, ospedali, sedi Onu, assassinando giornalisti, medici, infermieri, bambini e anziani, senza garantire alcuna zona di rifugio per nessuno. Si sta impedendo l’accesso al cibo, all’acqua corrente, all’elettricità per 2,3 milioni di civili innocenti. Questi crimini non sono nuovi per Israele, ma sono costantemente presenti in quelle che vengono denominate 'operazioni militari su Gaza'. Questa volta il massacro è più feroce dei precedenti e con il totale sostegno dell’Occidente, che non fa nemmeno più finta di richiedere ad Israele l’adesione al diritto internazionale. Diversi politici israeliani hanno invocato un genocidio a Gaza, e temo che si stia consumando sotto i nostri occhi nel totale silenzio politico e mediatico occidentale”.
Puoi spiegare chi sono e cosa fanno i coloni?
“Ci sono colonie che sorgono più a ridosso dei confini di Israele, dove gli israeliani vivono magari spinti dalle politiche di forti sgravi fiscali che il governo attua per convincere i propri cittadini ad andare a vivere nelle colonie. Ci sono poi le colonie in piena Area C che sorgono vicino a villaggi palestinesi, ed in maniera più marcata gli avamposti, dove vivono fanatici di estrema destra, profondamente violenti e razzisti, che utilizzano la religione come scusa per uccidere e terrorizzare i palestinesi in un decennale processo di colonizzazione di quelle terre. Alcuni di questi individui, per esempio, facevano parte di organizzazioni come il Kach, riconosciute come terroristiche dallo stesso Israele oltre che dalla comunità internazionale. I coloni degli avamposti sono la “prima linea” del processo di colonizzazione, persone che ho visto con i miei occhi cercare di uccidere palestinesi innocenti senza alcun motivo, attaccare bambini di 6-7 anni con spranghe di ferro e lancio di pietre, assaltare e devastare case palestinesi”.
Infine, da cooperante-attivista e conoscitore della regione come vedi una via d’uscita?
“È una domanda estremamente difficile a cui non credo di essere titolato come italiano a rispondere. Questa domanda andrebbe posta ai palestinesi e agli israeliani, dopo che questi ultimi decideranno di abbandonare il progetto di colonizzazione di tutta la Palestina. Il punto di partenza, come in ogni processo di pace, è creare una situazione di giustizia, dove i palestinesi di Gaza non siano più rinchiusi in una prigione a cielo aperto, costretti ad una breve vita senza alcuna prospettiva di futuro e massacrati dalle bombe con cadenza biennale, dove a tutti i palestinesi sia garantita libertà di autodeterminazione e diritti civili identici a quelli di cui godono attualmente gli israeliani. Credo che, una volta scelto di accettare questo basilare livello di giustizia, a quel punto palestinesi ed israeliani potrebbero sedersi da pari e discutere una risoluzione”.