Ha un duplice senso politico la grazia che il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha concesso a Patrick Zaki, condannato appena 24 ore prima a tre anni di carcere. La prima è il chiaro messaggio inviato da al-Sisi al popolo egiziano: il carcere è una possibilità concreta per tutti, prova ne sono gli attuali 60mila detenuti politici incarcerati a causa di una legge antiterrorismo liberticida, e l'autentica via crucis di Zaki, incarcerato senza processo per quasi due anni con accuse pretestuose, e una volta di fronte ai giudici costretto a subire una lunga trafila di rinvii e udienze inutili.
L'attenta Chiara Cruciati, sul manifesto, tira le somme di quanto accaduto: “Festeggiamo la vita libera di Patrick Zaki. Ma consapevoli che al-Sisi ha vinto ancora. Non ha aperto alcuna breccia nel sistema giudiziario che lui stesso ha creato per silenziare ogni forma di dissenso e punire la disobbedienza, vera o presunta. Non ha messo in dubbio l’impalcatura legale del regime. E' lui che dà le carte, e il banco vince sempre”.
La seconda considerazione da fare è che la “magnanimità” di al-Sisi è anche una richiesta di aiuto all’Occidente, visto il pessimismo generale sulle possibilità del dittatore di portare l’Egitto fuori dalla crisi più grave degli ultimi decenni. A giugno l’inflazione è stata del 36,8%, e in meno di un anno la sterlina egiziana ha perso la metà del suo valore. Il pesantissimo indebitamento di un paese dove gli interessi sul debito pubblico hanno raggiunto i 42 miliardi di dollari l'anno. ha costretto l'Egitto ha contrarre un nuovo prestito dal Fondo monetario internazionale.
La morale dunque è quella di sempre: anche in assenza delle pur minime garanzie civili e sociali al loro interno, alcune nazioni sono geo-politicamente indispensabili agli occhi dell'Occidente, sempre pronto ad accusare i paesi “nemici” di violazioni dei diritti umani ma che chiude occhi e orecchi di fronte ai comportamenti indegni dei paesi “amici”.