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La Cgil non può fermarsi ma deve dare continuità, forza e partecipazione consapevole alle mobilitazioni a sostegno della piattaforma confederale, contro le scelte autoritarie, classiste e liberiste del governo di destra di Giorgia Meloni.
Nuvole nere si addensano sulla nostra Costituzione antifascista, sulla nostra democrazia parlamentare. La deriva autoritaria ha molte facce, avviene senza gesti estremi ma con continuità, che non fa percepire a livello di massa la gravità del progetto finale. Si vuole ridimensionare il ruolo del Parlamento, modificare la struttura costituzionale, snaturare gli Enti preposti alla verifica e al controllo dell’esecutivo.
Non è il fascismo delle camicie nere ma quello più infido e pericoloso di privatizzazione dello Stato e di quella “democrazia decidente” della dittatura della maggioranza. Una “democratura” o “democrazia illiberale” che si richiama a figure come Orban o Trump. Un’ideologia e un sistema di potere alternativi alla nostra democrazia rappresentativa e parlamentare. I progetti di autonomia differenziata e di presidenzialismo si accompagnano a un attacco al sistema di protezione sociale, al valore e alla funzione dello Stato sociale, ai diritti sociali e civili, al lavoro come diritto di cittadinanza. Un attacco che si manifesta con scelte che favoriscono le lobby, a partire da quelle delle armi, gli interessi particolari, i poteri economici forti, i padroni e le loro associazioni, a partire da Confindustria, e col disconoscimento di ruolo e funzione del sindacato confederale, a partire dalla Cgil, operando per la divisone attraverso la Cisl e la corporativa-neofascista Ugl.
Un risultato significativo è stato raggiunto dalla Cgil al XV congresso della Ces: su obiettivi sociali ed economici, si è deciso di dare una risposta alle crisi economiche, sanitaria e alle politiche di austerità promuovendo un percorso e una mobilitazione europee. Con l’astensione della Cisl al documento approvato a stragrande maggioranza, si conferma la diversità strategica e di idea di sindacato con la Cgil.
Come Paese ed Europa siamo su due abissi: la crisi ambientale, con disastrose conseguenze sulla vita delle persone, sul sistema produttivo, sulla tenuta idrogeologica di un paese fragile, cementificato e abusato; e la guerra rimossa e in pericolosa escalation per la pervicacia di politici e dirigenti europei bellicisti che pensano di vincere la Russia sul piano militare, inviando armi all’Ucraina. L’Unione europea, succube degli Usa, è vittima di questo scontro tra imperi sul suolo ucraino. Come afferma il segretario Onu, Antònio Guterres, stiamo andando verso una nuova guerra mondiale, con l’incubo del conflitto atomico.
La crisi ambientale e la guerra hanno conseguenze dirette sul piano economico, sociale, industriale del Paese e sulle condizioni di vita e di lavoro di cittadini, lavoratori, pensionati, giovani: la situazione sociale e del lavoro può diventare esplosiva. La mancanza di risorse, l’accentramento delle ricchezze, il ritiro dello Stato dall’economia, le privatizzazioni di sanità e istruzione, le povertà diffuse e il lavoro povero e precario ci accompagneranno per un tempo non breve.
È uno scontro generale. Si deve ridare centralità alla contrattazione, si devono conquistare i contratti nazionali, riportare il controllo e la condizione lavorativa e degli orari al centro delle piattaforme, richiedere aumenti salariali consistenti e rispondenti alla perdita del potere d’acquisto di questi anni. I salari “poveri” per milioni di lavoratori devono essere cancellati con il supporto della confederazione e l’azione solidale e di sostegno delle categorie più forti verso le più deboli, non in grado di esprimere un adeguato rapporto di forza con deficit di rappresentanza. Il taglio del cuneo fiscale, il ripristino del fiscal drag, sono importanti ma non sufficienti. I padroni vanno chiamati alla loro responsabilità, ridimensionando i profitti, aumentando i salari reali, abbattendo la precarietà del lavoro.
Il 24 giugno e il 30 settembre saremo ancora nelle piazze. Due significative mobilitazioni che vedono la Cgil e un fronte ampio di associazioni accomunate da valori e contenuti: “Insieme per la Costituzione” e la conquista di un Paese e un’Europa politica e sociale fondati sulla Pace e il ripudio della guerra, una società più giusta e uguale, un modello di sviluppo alternativo al mercato e al profitto, rispettoso dell’ambiente e della dignità umana.
La strada è lunga, ma va percorsa con le mobilitazioni, le iniziative diffuse sino al necessario sciopero generale, non come panacea ma scelta di arrivo e di ripartenza di una lotta di lunga durata, capace di guardare oltre i nostri ristretti confini.
Il Vangelo dice che sono beati tutti coloro che cercano di costruire un mondo di pace. Un compito arduo, viste le guerre che avvelenano il pianeta. I potenti della terra imbracciano le armi invece di cercare la via della diplomazia. Mirella Manocchio è pastora metodista, presidente della (Fdei), che mette insieme le organizzazioni femminili di chiese avventiste, battiste, luterane, metodiste, riformate del Ticino, valdesi e dell’Esercito della salvezza. Portavoce di un mondo articolato e radicato nella società italiana, Manocchio racconta dell’impegno per un cessate il fuoco che lasci spazio alla diplomazia.
Sono sempre i più deboli le prime vittime di ogni conflitto armato, è un assunto che anche in questo XXI secolo trova puntuale conferma, non trova?
“Nella storia umana le guerre non hanno mai risolto le cause dei conflitti tra popoli, gruppi e nazioni, anzi hanno peggiorato le condizioni di vita delle vittime di entrambe le parti in guerra e compromesso gli ambienti naturali”, recita la mozione approvata al XIII Congresso della Federazione delle Donne Evangeliche in Italia. A noi sembra che qualcuno parli di pace, della necessità della pace, poi però ci si muove troppo poco in quella direzione. Invece ci stiamo muovendo, e molto, sul versante degli armamenti. Il nostro stesso governo non discute tanto di aiuti all’Ucraina, di sostegni per dare una mano concreta dopo l’attacco da parte della Russia, quanto di armi da inviare. Mentre noi vorremmo che molti investimenti fossero fatti su altri versanti, settori che sono in grande sofferenza. Il mondo della scuola in Italia, in questo momento, è in grande difficoltà, così come lo è quello della sanità pubblica, sono settori che avrebbero bisogno di grandi investimenti. Lo abbiamo visto in questi ultimi anni, nei mesi della pandemia, e anche ora che siamo usciti dall’emergenza Covid. Il Servizio sanitario pubblico arranca, le persone sono costrette a rivolgersi alla sanità privata per essere curate, e questo non aiuta soprattutto le fasce più deboli, chi è più in difficoltà”.
Cosa possono fare le donne Fdei?
“Noi donne evangeliche, sia per quanto riguarda l’Italia, ma anche a livello mondiale, volgiamo il nostro sguardo proprio alle fasce più deboli. A partire dalle donne naturalmente, ma anche ai bambini, ai minorenni, e più in generale a tutti coloro che sono ai margini della società. Quasi inutile dire che in situazioni di guerra, di conflitti, i più deboli sono i primi a soffrire, quelli che pagano il prezzo più alto. E questo ci sembra davvero crudele, ingiusto. Proprio in questa direzione ci siamo mosse, non soltanto con la mozione e i nostri appelli, ma anche con azioni concrete, incontri, con la partecipazione alle manifestazioni delle diverse espressioni evangeliche cui apparteniamo per dire 'No' alla guerra. Per citarne una, l’adesione della Federazione delle chiese evangeliche alla manifestazione dello scorso 5 novembre, cui anche noi come donne abbiamo aderito. Abbiamo dato vita a cortei, animato dibattiti in cui si parlava della necessità di investire sulla pace. Perché il punto è proprio questo, bisogna investire sulla pace. Ci sembra che molto, troppo si stia investendo sulla guerra, poco invece sulla pace, sulla diplomazia. Al riguardo notiamo purtroppo che l’Onu è bloccata nelle sue azioni, per come è organizzata strutturalmente, per i veti reciproci che non permettono di agire in maniera corretta e giusta per trovare delle soluzioni di pace, diplomatiche. Ma manca anche la volontà di far cessare il fuoco”.
Sembra che le parole della pace non riescano a trovare spazio, in un dibattito politico che come unico tema ha quello di produrre sempre nuovi armamenti, da inviare nelle zone di guerra.
“Dovremmo sviluppare, implementare una cultura della pace. Perché lo sappiamo, ed è stato detto da vari personaggi tra cui anche il Papa, che la guerra non è una soluzione. Il Vangelo dice che la guerra non è una soluzione, ma una sconfitta per tutti e la causa di tanti altri conflitti. Quando si innescano certi meccanismi, lo stiamo vedendo nei Balcani, diventa difficilissimo trovare una via d’uscita. I Balcani sono la riprova che se non si lavora per la pace, ricostruendo anche le relazioni tra coloro che sono stati in guerra, il rischio concreto è di ricaderci sempre. E questa è anche una delle nostre preoccupazioni. Il dopo. Cosa succede dopo? Bisognerà ricostruire un paese distrutto come l’Ucraina. Penso anche alla diga che è stata fatta saltare in questi giorni, ancora non si è capito da chi. Ma il risultato invece è sotto gli occhi di tutti: sono persone sfollate, case crollate, coltivazioni distrutte, danni ambientali ingentissimi. A proposito del ‘che fare dopo’, mi torna alla mente quello che è stato fatto in Sudafrica da due personaggi molto importanti. Dal metodista Nelson Mandela - perché quasi nessuno lo sa ma Nelson Mandela era un metodista, cresciuto nelle scuole metodiste, formato dalle scuole metodiste, grazie alle quali a suo tempo è riuscito a diventare avvocato - e da un altro gigante come il vescovo anglicano Desmond Tutu. Già, Desmond Tutu non era cattolico, ma anglicano. Questi due personaggi hanno lavorato per dare vita alla ‘Commissione per la Verità e la Riconciliazione’, una commissione che cercasse, a partire dall’ammissione di quelle che erano le reciproche colpe, in quel caso più sul lato dei bianchi segregazionisti, di ricostruire rapporti e relazioni. Diversamente non se ne esce”.
Siamo passati dal welfare, che era un vanto dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, al warfare di questo inizio secolo. Che fare?
“Oggi non ci si rende conto che fa parte dei conflitti, soprattutto quando riguardano le grandi potenze come possono esser gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India, l’Iran, anche la minaccia nucleare, che Putin ha fatto sentire forte. Allora ecco l’urgenza della pace, anche sotto questo profilo. La guerra ha conseguenze che riguardano tutta la popolazione. Perché le guerre non si fanno fra gli eserciti, le guerre si fanno sulle spalle delle popolazioni. Lo ripeto, noi donne evangeliche stiamo dalla parte dei più deboli. E come donne parliamo anche di sopraffazione sui corpi, i corpi delle donne che troppo spesso diventano terreno di conflitto. Tutto questo ci interroga, ci interroga a partire dalla Bibbia, dalla parola di Dio che ci richiama a posare le armi e ad operare per la giustizia e per la pace. È scritto sia nell’Antico Testamento, e nel nostro appello facciamo ferimento al libro del profeta Isaia, come nel Nuovo Testamento, le Beatitudini. Nel vangelo di Matteo, fra le tante Beatitudini ce ne sono due perfette per rispondere a questa situazione. Mi riferisco a quello che dovrebbe essere il nostro pensiero in quanto cristiane e cristiani: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati (...), beati quelli che si adoperano per la pace perché saranno chiamati figli e figlie di Dio (Matteo 5, 6.9)”.
Eppure gli italiani e le italiane continuano ad essere dubbiosi sulla guerra, la metà di loro si dice contraria all’escalation cui stiamo assistendo.
“Quanto facciamo noi cristiani per la pace? Per la pace e anche per incrementare la cultura della pace. La pace non può essere per noi credenti soltanto l’assenza di guerra. La pace, anche per gli ebrei, lo 'shalom' è molto di più: è l’armonia tra gli esseri viventi, l’equilibrio, la giustizia. Ecco perché è necessario portare avanti una cultura della pace che scardini le strutture che provocano ingiustizia e sopraffazione. Ricordo le partecipatissime manifestazioni ai tempi in cui gli Stati Uniti volevano attaccare l’Iraq, quel grande movimento di pace di cui anche ora si sente il bisogno. Come donne evangeliche stiamo partecipando a manifestazioni e incontri per dare più speranze alla pace. La guerra cancella qualsiasi diritto, tutto viene messo da parte per l’urgenza di difendersi o attaccare. Nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina, bisogna costringere le due parti a parlarsi, ad aprire un canale diplomatico, che non è più derogabile. L’obiettivo deve essere la pace”.
Il giorno stesso nel quale le forze armate russe varcarono la frontiera dell’Ucraina, d’accordo con i miei familiari, abbiamo issato sul balcone di casa la bandiera arcobaleno. Era il 22 febbraio 2022. Era ed è rimasta l’unica, non solo nel mio caseggiato di sette piani con e quattro numeri civici d’ingresso...
Tutti i sondaggi ci dicono che la stragrande maggioranza della popolazione italiana era allora ed è oggi contraria alla guerra, soprattutto alla scelta dei governi italiani di farsi coinvolgere giorno dopo giorno nel conflitto attraverso l’invio di armi sempre più sofisticate. Eppure, giorno dopo giorno, l’Italia come gli altri paesi del blocco Usa-Nato fa un passo avanti verso il coinvolgimento diretto nel conflitto, che non è mai stato soltanto una guerra tra Russia e Ucraina, ma è sempre più una guerra aperta tra i paesi del blocco occidentale e la Russia.
La guerra ha avuto ed ha conseguenze pesanti sulla economia italiana. Non solo sull’andamento delle produzioni e dei mercati (pure se qualche settore industriale dal sangue versato trae e trarrà vantaggio!), ma anche sull’uso delle risorse stanziate per il Pnrr che sulla guerra vengono dirottate, con un impoverimento crescente di settori della popolazione.
È, quella in Ucraina, una guerra convenzionale combattuta tra eserciti regolari, se si escludono gli atti terroristici e gli omicidi compiuti in territorio russo, presumibilmente da parte ucraina, il sabotaggio del condotto del gas nel Mare del Nord opera dei servizi segreti Usa e norvegesi e, prima del conflitto aperto, dell’abbattimento di un aereo di linea da parte russa. Le vittime civili in massima parte sono conseguenza degli “errori” nel lancio dei missili o dell’abbattimento degli stessi da parte delle batterie antimissile.
Nessuno fa vedere i morti, nessuno ne dice il numero esatto. Il grosso delle vittime, morti e feriti, sono militari ucraini e russi. Le due parti parlano di centinaia di migliaia di caduti. Un numero spaventoso anche facendogli la tara. Quante vedove, quanti orfani, quante madri e padri che non vedranno più i loro figli e fratelli e sorelle che perderanno quelli con cui sono cresciuti insieme?
Il fatto che il numero dei morti non si sappia, che non se ne vedano i corpi, che le vittime civili siano oggetto di servizi di propaganda su numeri “insignificanti”, che le azioni di guerra fatte vedere in tv siano qualche colpo di mortaio o di cannone sparato a distanza da soldati inzaccherati e tante parole senza immagine alcuna, serve ad anestetizzare la percezione di un conflitto alle porte di casa.
La propaganda bellicista a reti unificate è diventata asfissiante e vomitevole. Ma qualche effetto lo ha partorito. Quella bandiera solitaria che sventola dal balcone della mia casa, nella sua solitudine, testimonia che la contrarietà non è diventata in questo anno sdegno e mobilitazione. Le forze che alla guerra si sono opposte e che si oppongono, la vasta rete dell’associazionismo laico e cattolico, la Chiesa cattolica e le sue organizzazioni, la Cgil, non riescono a tradurre la contrarietà in opposizione militante. La marcia Perugia-Assisi – benemeriti quante e quanti vi hanno partecipato - è stata questo anno una marcia “routinaria” non all’altezza della situazione.
In questo quadro, le forze politiche parlamentari, con poche eccezioni (i parlamentari di Sinistra italiana nel gruppo Verdi/Sinistra italiana, i parlamentari del Movimento 5 Stelle, qualche parlamentare del Pd e della Lega), fanno a gara a scavalcarsi sul piano del bellicismo, passando dalla timidezza di Forza Italia e Lega all’entusiasmo del Pd e dei neofascisti, sicuri che non pagheranno pegno elettorale per le loro scelte.
Siamo al punto che, nel discutere tra i sindacati europei di una possibile mobilitazione unitaria contro le politiche liberiste dei governi della Ue e della Commissione europea, si rimuove dalla discussione il tema decisivo della pace e della guerra! Quasi che non ci fossero legami tra economia e politica, tra scelte internazionali e andamento dei mercati e risorse a disposizione degli Stati.
Il movimento contro la guerra sembra muoversi per compartimenti stagni, e le numerose iniziative non si parlano e non si unificano. Invece alle guerre, se non si vogliono, non basta non aderire, occorre sabotarle con le armi della non violenza, della mobilitazione a sostegno delle politiche di pace.
Ogni giorno che passa, il conflitto in Europa orientale avvicina una deflagrazione più vasta, noi che ne siamo consapevoli dobbiamo fare di più. La Cgil deve fare di più.
L’ipotesi di accordo del Ccnl per i Consorzi di bonifica, siglato nella notte del 23 maggio a Roma, riguarda circa 10mila lavoratori che svolgono una funzione importante nella gestione del patrimonio idrico, nella difesa del suolo e nella tutela del territorio.
I lavoratori dei consorzi di bonifica operano in un contesto dove l’organizzazione del lavoro è a totale discrezionalità delle direzioni aziendali, in particolare per quanto attiene alla gestione del personale, al governo delle progressioni di carriera e alla erogazione di elementi premianti. Per questa ragione abbiamo inteso riprendere tutte le problematiche inerenti all’organizzazione del lavoro, a partire dalla progressione degli scatti, aprendo una breccia per ripristinare gli automatismi legati a tale riconoscimento.
La forte inflazione e l’insicurezza del mercato hanno orientato le richieste sindacali a prediligere un rinnovo che fosse, eccezionalmente, biennale, per dare una risposta alla variabilità della congiuntura economica e che soprattutto desse una risposta immediata, erogando aumenti da subito.
L’aumento previsto per il biennio 2023-24 sarà del 4,95%, con un 3% erogato nella busta paga di giugno ‘23 e l’1,95% erogato a luglio ‘23. Questa modalità consentirà di presentare per il biennio successivo una piattaforma che tenga in ulteriore considerazione la situazione economica contingente, puntando al recupero dell’inflazione.
Altro aspetto importante è stato quello d’intervenire diminuendo i tempi nei passaggi relativi alla progressione di carriera e, nel contesto, operando anche il riconoscimento dell’anzianità per gli operai avventizi, che verranno inquadrati al parametro 104 al compimento del dodicesimo mese di lavoro anche non continuativo. Inoltre dopo più di vent’anni questo accordo mette mano alla disciplina degli scatti d’anzianità, che aveva escluso tutti i dipendenti assunti dal luglio 2000.
Nel rinnovo è prevista la costituzione di un ente bilaterale di settore con l’obiettivo di ottenere un ulteriore sostegno al reddito, che verrà finanziato con un contributo pari allo 0,75% dei minimi di stipendio base interamente a carico dei Consorzi.
Nelle prossime settimane verrà avviata, attraverso assemblee unitarie, la consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori dei Consorzi in merito all’accordo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali.
Ci rendiamo conto che restano molte questioni da risolvere, e soprattutto è necessario che la Flai Cgil sviluppi un forte coordinamento tra la struttura nazionale e il territorio, per risolvere le contraddizioni ancora presenti, essere parte attiva nelle riorganizzazioni dei Consorzi e protagonista nella definizione dei modelli organizzativi.