Continua senza esitazioni il processo di privatizzazione della sanità in Umbria, attraverso il continuo depotenziamento delle strutture pubbliche. La giunta di destra al governo in Regione sta portando avanti con determinazione quello che era stato fin dall'inizio un obiettivo scritto a chiare lettere sul programma elettorale della presidente Tesei. L’ultimo atto, la delibera sullo smaltimento delle liste d’attesa appaltate al privato, certifica il fallimento di questa Regione in materia di sanità e diritto alla salute di cittadine e cittadini.
La sanità regionale, come riferisce infatti una nota della Regione, “ha pubblicato le manifestazioni di interesse destinate alle strutture sanitarie convenzionate a cui si appalteranno una parte delle prestazioni pregresse secondo le esigenze e le scelte delle singole Asl, con una media regionale che vede circa il 70% delle 74mila prestazioni arretrate appaltate all’esterno, e il 30% smaltito internamente”.
Così facendo si aprono spazi enormi per chi vuol fare profitto sulla salute delle persone, e si spostano verso il privato ingenti risorse che dovrebbero invece servire a rafforzare strutturalmente il Sistema sanitario regionale pubblico, in primo luogo attraverso quelle assunzioni di personale promesse da anni e mai effettuate.
Tutto ciò, che è gravissimo in termini generali, assume contorni drammatici in una regione “debole” come l’Umbria, dove i salari sono più bassi della media nazionale e che nell’ultimo decennio ha visto una progressiva riduzione della sua popolazione residente e un aumento significativo della popolazione over 65, oggi pari al 25,6% rispetto ad una media nazionale del 22,9%.
L’Umbria conta 882mila abitanti: di questi 225mila over 60, 121mila over 70, oltre 76mila over 80; siamo terzi solo dietro a Liguria e Friuli Venezia Giulia. Almeno il 50% delle persone sopra i 65 anni presentano malattie croniche (dato nazionale 43,2%), il 62,6% è affetto da multimorbilità (dato nazionale 52,6%). Questo significa che siamo di fronte ad una popolazione anziana con problemi di salute abbastanza gravi. Inoltre il 13% degli anziani ha un disturbo depressivo rispetto al 10,5% della media nazionale. Come se non bastasse, il sistema del trasporto pubblico locale è del tutto insufficiente.
In una situazione del genere è indispensabile un Sistema sanitario pubblico che, integrando la rete ospedaliera con i servizi di territorio che dovrebbero essere capillari e diffusi, sia in grado di offrire a tutta la popolazione (soprattutto la più fragile, a partire dagli anziani) la possibilità di accedere alle cure migliori. Ma la strategia della Regione continua ad essere quella di far finta di ascoltare, e di assumere anche impegni formali, salvo poi disattenderli e procedere per la propria strada (come ad esempio quello delle mille assunzioni di cui non si è vista traccia).
Così stanno procedendo anche in merito al percorso che ha portato la Regione e l'Università di Perugia alla sottoscrizione del Protocollo generale d’intesa del 20 aprile 2022 per l’istituzione delle Aziende ospedaliero-universitarie. La Cgil ha evidenziato la necessità di recuperare un maggiore spazio di confronto, su un tassello fondamentale dell’organizzazione del Sistema sanitario regionale, soprattutto perché va mantenuta distinta e intatta la funzione propria dell’istituzione regionale di garantire l’assistenza del servizio sanitario a tutti i cittadini, rispetto a quella dell’istituzione universitaria che ha una funzione didattica e di ricerca. Nel Protocollo vediamo invece un cedimento della prima funzione a favore dell’Università, atto che rappresenta una rinuncia da parte dell’istituzione pubblica regionale ad assolvere al proprio compito e alla propria responsabilità.
E' per questi motivi che la mobilitazione territoriale deve continuare, fino allo sciopero generale: questo è l’impegno che abbiamo preso di fronte alla piazza del 22 ottobre 2022. Perché una Regione senza una visione strategica rischia un declino in tempi molto rapidi, e perché è dalle vertenze territoriali che deve partire il messaggio forte che il diritto alla salute delle persone, in ogni fase della propria vita, lo si garantisce solo con un servizio socio-sanitario nazionale davvero pubblico, universale e gratuito.