Samir Amin, Eurocentrismo, La città del sole, pag. 276, euro 22
Samir Amin è stato uno dei maggiori intellettuali e attivisti politici espressi dal Sud Globale. Uno dei maggiori esponenti del “marxismo della periferia”, come preferisco denominare.
Teorico della “accumulazione su scala mondiale”, dello “sviluppo ineguale”, della frattura storica planetaria tra Centri sviluppati e Periferie condannate al sottosviluppo, ha avuto la rara capacità di sfuggire all’economicismo e al determinismo e di considerare adeguatamente la dialettica di dinamica economica e sociale e di dinamica culturale e politica.
Così “Eurocentrismo. Modernità, religione e democrazia. Critica dell’eurocentrismo, critica dei culturalismi” si distingue per la profonda analisi dei fenomeni culturali, filosofici e religiosi e per un’ulteriore precisazione dei tratti distintivi del capitalismo e delle formazioni economico-sociali che lo hanno preceduto. Un libro che costituisce una sorta di “filosofia della storia”, nell’accezione buona, di visione complessiva che cerca di tenere assieme l’economico, il sociale, il politico, il religioso, il filosofico, il culturale, l’antropologico. Come è giusto che sia nei “marxismi buoni”, oltre i tanti marxismi eurocentrici, economicistici, deterministici ecc.
L’eurocentrismo è un’ideologia. È una visione del mondo che si fonda sul granitico pregiudizio primigenio della “superiorità bianca”. Del corredo di pensiero da cui scaturiscono il razzismo e la divisione del mondo in pretesi “popoli e razze superiori” e “popoli e razze inferiori”. Da cui scaturisce l’arroganza tipica dell’Europa e dell’Occidente collettivo, Usa in testa.
Tutto ciò come accompagnamento della dinamica storica della modernità. Del sorgere, tra XV e XVI secolo, del capitalismo compiuto, dell’espansione su scala mondiale con il colonialismo e con l’imperialismo. Con la rapina e con il saccheggio delle periferie, di Asia, Africa e America Latina e con il vertiginoso sviluppo di quell’Europa fino ad allora periferia del mondo. Essendo i baricentri di sviluppo e di civiltà fuori dell’Europa, in Cina, in India, nel fiorente mondo arabo-persiano-islamico.
L’autore mostra come nei modi di produzione precapitalistici la religione svolga una funzione centrale ed è ricca l’analisi ch’egli fa delle cosiddette “religioni del Libro” (ebraismo, cristianesimo, islam). Nell’articolazione interna di ognuna, con le dispute teologiche, le eresie ecc., ma sempre riferite queste diatribe alle molto prosaiche radici economiche, sociali, di classe. In particolare è veramente importante come ogni popolo si costruisca una mitologia, una narrazione identitaria.
Non solo le identità minacciate e subalterne dei popoli oppressi. Considerate false identità da parte dei dominanti mondiali. Un solo esempio rivelatore. L’Europa, e poi l’Occidente collettivo, Usa in testa, rivendicano le radici giudaico-cristiane e le radici greche come fondamento della loro pretesa superiorità. Amin mostra giustamente come la Palestina sia Oriente, molto in relazione con le civiltà monumentali mesopotamiche e le città-stato della Siria e come la storia del cristianesimo sia per molti secoli soprattutto cristianesimo orientale, nelle vaste comunità, nei cosiddetti Padri della Chiesa ecc. E come la Grecia sia margine occidentale di detto Oriente. Debitrice la grecità delle civiltà egizia e mesopotamiche. Metà del lessico greco è mutuato dall’egiziano e dal fenicio (non ultimo l’alfabeto, di derivazione fenicia appunto).
I fenici, i cananei della costa, essendo i cananei gli abitanti originari della Palestina. A proposito di “terra promessa”, di miti identitari d’origine che molti popoli e molti stati-nazione si costruiscono a proprio uso e consumo. Gli Usa campioni in ciò. Con l’aggravante che in seguito fino a oggi “i buoni samaritani del mondo” considerano come propri confini i confini del pianeta intero.
La trattazione della parabola storica dell’islam occupa una parte importante del libro. Conoscendo Amin molto bene sia la letteratura primaria che quella secondaria sulla religione e sulla filosofia islamiche. Il fine suo è quello di mostrare come l’islam politico, moderato o radical-fondamentalista, costituisca una chiusura identitaria, un pericolo per la reale emancipazione dei popoli coinvolti. Un’ulteriore oppressione oltre le oppressioni dei dominanti mondiali presentatisi come cristiani, democratici, portatori dei pretesi “valori occidentali”, dei pretesi “valori europei” ecc. Dalle Crociate fino a oggi.
Parimenti l’autore padroneggia e valorizza gli sviluppi filosofici, religiosi, culturali dell’Europa. Dall’Umanesimo al Rinascimento, dalla Riforma protestante all’Illuminismo fino a Marx e ai vari marxismi. Questo pensiero occidentale ha svolto un ruolo fondamentale nei processi di emancipazione del Sud Globale, dal “risveglio dei popoli coloniali” alla decolonizzazione, alle vere e proprie rivoluzioni.
Mao, Ho Chi Minh, Giap, Mariategui, il Che, Castro, Fanon, Sankara ecc. riuniscono in loro questa cultura europea con le culture della propria terra e della propria origine.
Così è per Samir Amin. Arabo e africano, illuminista e marxista. Terzomondista e internazionalista. La cultura e la politica di cui abbiamo profondo bisogno.