A Roma il primo congresso nazionale di Apiqa, associazione sindacale, affiliata alla Cgil, che rappresenta le lavoratrici e i lavoratori quadri, professionisti e alte professionalità, dipendenti e non.
Il lavoro cambia, e con il lavoro che cambia mutano anche le necessità della rappresentanza. A Roma, presso il cinema Troisi, il 28 febbraio e primo marzo si è svolto il congresso di Apiqa. L’associazione rappresenta, all’interno della Cgil, i quadri, le alte professionalità e i professionisti autonomi senza dipendenti. Circa 11milioni e 800mila lavoratrici e lavoratori collocati nel mondo dei servizi alle imprese, nel commercio e nell’industria.
Se limitiamo l’importanza di questo congresso ai soli numeri dei potenziali rappresentati, non cogliamo alcuni aspetti che coinvolgono tutto il mondo del lavoro e non solo queste professionalità: il rapporto con le nuove tecnologie, che diventa connessione con le nuove forme di organizzazione del lavoro; il tema della crescita professionale e della formazione come suo naturale strumento di tutela; la definizione di un sistema di protezione sociale; infine la questione del giusto compenso e della retribuzione.
Questo mondo potrebbe apparire distante da quello che rappresentiamo quotidianamente, ma le novità che vengono sperimentate negli ambiti dei servizi moderni, ad alto valore tecnico o tecnologico, e che investono la vita delle professionalità più elevate, diventano in breve tempo la norma negli ambiti impiegatizi o operai. Pensiamo all’impatto delle nuove tecnologie nell’organizzazione del lavoro (i rider che consegnano le pizze nelle nostre calde case le sere di pioggia sono organizzati da software gestionali molto sofisticati), riflettiamo sull’impatto del lavoro in remoto (telelavoro o smart working), che fino a qualche anno fa sembrava destinato solo a pochi professionisti specializzati e che invece coinvolge oggi milioni di lavoratrici e lavoratori.
Diversi i temi approfonditi nel corso del congresso. L’intelligenza artificiale e le conseguenze del suo sviluppo sulle condizioni di lavoro (e come affrontarla contrattualmente); la nuova visione di spazio urbano, su cui costruire l’idea di “città della cura”, che accolga lavoratrici e lavoratori con le proprie necessità.
Il professor Casilli, da Parigi, ha spiegato che l’Intelligenza Artificiale non libera l’uomo dal lavoro, ma crea nuove forme di sfruttamento, con operatori che contribuiscono, in cambio di paghe di pochi centesimi, allo sviluppo di prodotti informatici sempre più moderni e produttivi, un riaggiornamento del modello di sfruttamento capitalista del lavoro.
Modello di sfruttamento che possiamo riconoscere anche nel lavoro dei professionisti che sembrano privilegiati ma che hanno bisogno di costruirsi le proprie tutele: gli ammortizzatori sociali, l’equo compenso, la formazione continua come diritto soggettivo. Sembra paradossale ma, se immaginiamo una ipotetica piramide dei mestieri, il vertice soffre degli stessi mali della base. E qua si inseriscono i racconti e le esperienze delle delegate e dei delegati che sono intervenuti: storie di frustrazione e fatica, dei bisogni che non cambiano. Anche le esperienze positive di chi ha saputo cogliere le opportunità dell’iniziativa sindacale.
Apiqa si propone come strumento nelle mani della Cgil di elaborazione di idee e di accompagnamento alla contrattazione, grazie alla possibilità di raccogliere esperienze spesso di avanguardia. “Il logo di questo congresso vuole esserne un chiaro simbolo – segnala Federica Cochi, la riconfermata presidente dell’associazione – perché Apiqa agisce un ruolo di trait d’union con un mondo del lavoro diversificato, in parte di nicchia (ma poi non così tanto dal punto di vista dei numeri), in parte differente, ma fatto di persone come le altre, che lavorano e che necessitano di trovare una casa collettiva in cui vedere garantiti diritti e tutele. Perché dietro i ruoli ci sono sempre le persone, la loro vita, le loro aspirazioni e speranze”.
Nella relazione di Federica Cochi abbiamo trovato parole importanti, manifesto di un obiettivo che restituisca, aggiornato, il “valore di classe” a una modernità che si illude di averne superata la necessità: “Abbiamo sfide gigantesche da affrontare, tanto nel lavoro quanto nella società: dobbiamo aprire strade di senso insieme, contro l’oscurantismo, la disaffezione, la perdita della speranza, per tornare a dare e avere fiducia, visione di futuro. È un’azione che ostinatamente dobbiamo continuare a condurre in questo tempo così fragile, costruendo i presupposti per un futuro d’inclusione e di acquisizione: diritti universali, diritti civili, sociali, di lavoro, di cittadinanza”.