L’autonomia differenziata nell’università italiana esiste già, da molto prima dell’attuale, incandescente dibattito sulla ‘regionalizzazione’ sempre più spinta di una serie di materie. All’interno della discutibilissima strategia d’azione che ha interessato gli atenei della penisola negli ultimi trent’anni, è stata la ministra Gelmini con i governi Berlusconi a introdurre il cosiddetto doppio binario: più fondi alle università che potevano contare un maggior numero di iscritti, e ulteriori agevolazioni per alcuni atenei ritenuti, a torto o a ragione, più prestigiosi. Insomma università di serie A e serie B, come nella peggiore tradizione dell’istruzione ‘privatizzata’. Per intendersi, quella destinata ad essere frequentata dagli studenti delle famiglie più ricche, a discapito di un diritto allo studio che anche in ambito universitario dovrebbe premiare il merito.
Silvia Sorri lavora in amministrazione all’Università di Firenze dal 2005, attualmente è la responsabile dell’Ufficio offerta formativa. “Per sedici anni - racconta - sono stata alla Scuola di scienze matematiche, fisiche e naturali. Nel 2021 dalla periferia dell’ateneo mi hanno trasferita al centro”. Nelle ultime settimane sui media un sorridente ministro Calderoli ha monopolizzato le attenzioni, il disegno di legge sull’autonomia differenziata licenziato dal governo Meloni viene esibito dalla Lega come un trofeo. “Ma nel nostro mondo - spiega subito Sorri - l’autonomia differenziata c’è già, è stato un regalo di Maria Stella Gelmini, anche se a ben guardare l’operazione ha radici più lontane”.
Il risultato è presto detto: “Per le università non esiste più un sistema centrale nazionale, rimane quasi esclusivamente legato al valore giuridico del titolo di studio. Siamo la prova vivente di quanto l’autonomia differenziata sia deleteria, aumenti il divario fra università del sud e del nord, e finisca per premiare ulteriormente gli atenei più ricchi”. Sorri fa un passo indietro per sottolineare come “negli ultimi dieci anni la valutazione Anvur e la classifica delle università, seguendo parametri premiali come quello dell’internazionalizzazione, hanno fatto sì che chi già era in difficoltà si sia trovato sempre peggio”.
Tessera Flc Cgil nel portafoglio, Sorri sottolinea: “Quando noi delegati sindacali ci confrontiamo con i nostri colleghi e colleghe di altri atenei, ci accorgiamo che esistono differenze anche marcate su tutto, dai contratti decentrati all’organizzazione del lavoro”. Con una battuta, scherzosa ma non troppo vista la situazione, chiediamo in che serie gioca l’Università di Firenze: A o B? “Per certi aspetti quella di Firenze è una realtà ricca, dove lavoratrici e lavoratori sono tutelati. Molti meriti vanno alle vertenze sindacali degli ultimi vent’anni, grazie a compagni come Moreno Verdi e John Gilbert”.
Le dipendenti e i dipendenti del settore amministrativo sono circa 1.500, si va dal personale tecnico e bibliotecario ai collaboratori esperti di linguistica come Gilbert, c’è molta varietà di ruoli. L’anno accademico si aprirà il prossimo 16 febbraio, con una cerimonia in Palazzo Vecchio alla presenza della nuova titolare del dicastero. “Non abbiamo avuto occasioni per incontrare la ministra Bernini, allo stato attuale sembra che il bello e il cattivo tempo sia fatto dal suo collega Valditara. Il che è inquietante: lui è stato uno degli estensori nel 2010 della legge Gelmini che ci ha fatto tremare le vene ai polsi, ha disegnato una riforma nefasta”.
Scuola e università non vanno d’accordo da molti anni con i ministri, fin dai tempi di Ruberti e poi di Berlinguer, quello del 3 + 2. “La ministra draghiana Messa ha di fatto picconato i titoli di studio con equiparazioni fantasiose. Va bene che a pensar male si fa peccato, ma certo questo accanimento conto l’università mi fa tornare in mente il piano di rinascita democratica di Licio Gelli, che prevedeva fra le tante l’abolizione del valore legale del titolo di studio”. Sorri tiene inoltre a ricordare un altro fattore, quello delle tasse universitarie. Un meccanismo che non è solo penalizzante per le famiglie meno abbienti che vogliono far studiare i figli, ma che si riflette, ahinoi, anche sulla classifica degli atenei.
“Durante le fasi più acute della pandemia – altro passaggio difficile negli ultimi anni - le innovazioni tecnologiche hanno permesso comunque di far andare avanti la macchina universitaria, e molti studenti sono riusciti, pur con fatica, a chiudere il loro ciclo di studio e laurearsi. Oggi resta ancora un po’ di smart working, volontario, ma in generale la situazione è tornata praticamente alla normalità”. La delegata della Rsu sottolinea infine, con soddisfazione, la forza della Flc Cgil dell’Università di Firenze. “Alle ultime elezioni della Rappresentanza sindacale unitaria c’è stata una grande affluenza, e fatti i conti su 18 eletti 11 sono della Cgil. La maggioranza assoluta”. Sorri ha cinquant’anni, e parla anche da madre quando denuncia: “Una università che si basa sulle classifiche, sulla competizione tra atenei per strappare più finanziamenti, non invoglia certo ragazze e ragazzi a iscriversi”.